La svolta sulla rappresentanza Sindacati, vale la soglia del 5%

by Sergio Segio | 11 Gennaio 2014 8:08

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ROMA — Accordo Confindustria-sindacati sulle nuove regole per la democrazia in fabbrica. Dopo anni di discussioni e sette mesi dalla firma (31 maggio) per una intesa quadro ieri sera i tre leader sindacali Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) hanno inviato per email a viale Astronomia la loro firma all’ultima versione del testo di 26 pagine — datato 23 dicembre scorso — dopo alcune piccole modifiche. In pratica viene introdotta anche nel privato la soglia minima del 5% di accesso alla contrattazione — come già avviene nel pubblico impiego — e l’esigibilità degli accordi di fabbrica e dei contratti presi a maggioranza. Chi non rispetta gli impegni, sia sigle sindacali che imprenditori, potrà subire delle sanzioni stabilite da un organismo arbitrale. Toccherà all’Inps (col quale dovrà essere stipulata una specifica convenzione) e al Cnel la certificazione delle degli iscritti al sindacato e delle votazioni in azienda.
L’accordo, voluto con grande tenacia soprattutto dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e seguito tecnicamente dal responsabile delle relazioni industriali Pierangelo Albini, dovrebbe sanare il vulnus all’articolo 39 della Costituzione che impone «l’efficacia obbligatoria per tutte le categorie alle quali il contratto si riferisce». Ieri in tarda mattinata Squinzi si è recato al Quirinale per un lungo colloquio (oltre un’ora) con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ufficialmente è stata una visita di cortesia per discutere la situazione economico e politica del Paese ma l’incontro è servito anche al presidente di Confindustria per preannunciare al capo dello Stato i termini dell’accordo definitivo cui Napolitano teneva moltissimo.
In una nota Confindustria ha precisato che l’intesa «misura la rappresentatività degli attori e garantisce la piena attuazione degli accordi raggiunti contribuendo a migliorare il quadro di riferimento per tutti coloro che vogliono investire nel nostro Paese». Susanna Camusso si augura che «presto anche con le altre associazioni datoriali si possa raggiungere questo importante traguardo che costituisce il modello per dare finalmente piena attuazione al dettato costituzionale». L’accelerazione verso la firma conclusiva, dopo l’impasse avutasi il 13 dicembre scorso per alcuni ripensamenti di Angeletti cui seguì un ultimatum di Squinzi, si spiega anche con la crescente volontà politica di intervenire con una legge non molto gradita dalle Parti sociali gelose della loro autonomia. Per il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni quella raggiunta ieri «è una svolta epocale che cambia decisamente nel nostro Paese il volto delle relazioni industriali che passano da un sistema antagonistico e conflittuale, ad un sistema partecipato, moderno e ben governato». Bonanni è convinto che ora «si apre una stagione che può favorire la buona economia».
Per l’associazione di viale Astronomia «l’accordo costituisce un vero e proprio testo unico composto da quattro parti che regolano: la misurazione della rappresentanza sindacale a livello nazionale e aziendale; la titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale ed aziendale; le modalità volte a garantire l’effettiva applicazione degli accordi sottoscritti nel rispetto delle regole concordate».
Così, mentre il Jobs Act di Matteo Renzi comincia, almeno a parole, a fare capolino sulla scena del dibattito politico, imprese e sindacati si portano avanti per modernizzare le relazioni sindacali ed evitare in futuro un nuovo caso Fiat-Fiom. Il leader degli imprenditori ieri ha sfruttato la giornata romana anche per incontrare il vicepremier Angelino Alfano e i ministri “economici” dell’Ncd e per tenere una relazione all’Accademia dei Lincei sullo «scenario europeo sotto la presidenza italiana». Squinzi si è impegnato a realizzare un «manifesto per le elezioni europee» per tracciare le linee che «permetteranno all’Italia di essere autenticamente protagonista». Il 2014, secondo la tesi sostenuta dal patron della Mapei, «segna un punto di non ritorno e sarà una sfida decisiva per costruire una nuova visione per i cittadini e i governi europei».
Il decreto Destinazione Italia, pur riconoscendone le molte valenze positive, è stato criticato ieri, nel corso di una audizione alla Camera, dal delegato confindustriale per gli investitori esteri Giuseppe Recchi, secondo il quale la norma sul credito di imposta per ricerca e sviluppo «è poco incisiva perché limitata al 50% della spesa effettiva». In genere, per quanto riguarda le misure fiscali «si tratta di una occasione mancata».
Roberto Bagnoli

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