La strategia del caos

by Sergio Segio | 31 Gennaio 2014 10:32

Loading

Grillo e il cofondatore pentastellato, Casaleggio, hanno bisogno del caos, della paralisi per dimostrare la loro ragione di esistere.

Ma il paradosso, adesso, è proprio questo. La loro essenza si nutre esclusivamente della inattività. Hanno anzi bisogno di provocarla. Anche a costo di essere la causa stessa — e non l’esito — dell’inerzia. È come un organismo che aumenta la sua forza in modo parassitario con gli insuccessi altrui. L’escalation di questi giorni, del resto, non trova altre spiegazioni. La violenza dei toni, l’aggressività dimostrata ieri e mercoledì alla Camera, l’impeachment del capo dello Stato, tutto trova origine esclusivamente in questa esigenza primaria. Il nucleo dell’azione studiata dalla coppia Grillo-Casaleggio è orientato a provocare una sorta di shutdown della politica. Una specie di arresto cardiaco del sistema in cui è impossibile assumere decisioni o formulare risposte. E nel quale — come capita negli scritti del “guru” grillino — evocare scenari apocalittici di ogni tipo. Una forma insomma di moderno populismo mirato ad assecondare i malumori dei cittadini e nello stesso ad esaltarli. Descrivere l’Italia perennemente sull’orlo del fallimento, dimostrare l’irrisolutezza del Parlamento e di tutte le istituzioni democratiche diventa lo strumento migliore per fare campagna elettorale.
Quel che è accaduto negli ultimi due giorni a Montecitorio non è grave solo per la intrinseca rissosità ma perché ha evidenziato proprio il tentativo di delegittimare in blocco l’intero impianto istituzionale. Strozzare con quei metodi i lavori parlamentari risponde ad una logica ben poco democratica. Troppo spesso gli esponenti del Movimento 5Stelle mostrano una cultura istituzionale approssimativa. L’assenza di regole di convivenza all’interno di quello che loro non definiscono un partito, si riflette costantemente nell’esposizione pubblica. I processi decisionali sono oscuri e privi di qualsiasi garanzia di imparzialità. Il ricorso alla rete diventa la giustificazione sistematica per scelte la cui base di consenso è imperscrutabile. Alla fine solo in due comandano: Grillo e Casaleggio. Con un aspetto che sta via via crescendo. Nelle parole dei grillini si coglie sempre più una forma di integralismo che impedisce ogni possibilità di dialogo e confronto. È come se costantemente dicessero: “O con me o contro di me”. È nel giusto ed è legittimo solo chi è d’accordo con loro. L’esito è parossistico nel “congelamento parlamentare” di quel 25% di voti che nelle aule di Camera e Senato sono stati sostanzialmente sterilizzati nella protesta.
Il punto è sempre lo stesso: i vertici pentastellati sanno bene che il prossimo sarà per il loro Movimento l’anno fatidico. Una tornata amministrativa in primavera, poi le elezioni europee e infine — molto probabilmente — il voto nazionale nei primi mesi del 2015. Devono fare campagna elettorale subito tentando di dimostrare agli italiani che la politica — tutta la politica — è collassata e che quindi serve un nuovo ordine. Un buon risultato nelle urne del 25 maggio può diventare il grimaldello per far saltare ad esempio il percorso riformatore appena imboccato.
Anzi, proprio il pacchetto di modifiche alla legge elettorale alla Costituzione che è in via di definizione in questi giorni si configura come il bersaglio da colpire il più rapidamente possibile. Se il sistema infatti mostra la possibilità di autoriformarsi, rischia allora di incrinarsi quel castello di populismo e demagogia apocalittica edificato dall’ex comico. Del resto esiste un’onda analoga che attraversa quasi tutti i paesi occidentali. Basti pensare al Tea party americano, al Fronte nazionale francese o allo Uk Independence Party inglese. Tutti sintomo di una contestazione cieca. Nessuna di queste formazioni, però, ha raggiunto i livelli di consenso protestario come in Italia. Ma tutti, in modo particolare il Tea party, hanno mostrato la capacità di influenzare le decisioni pur non essendo maggioranza e nonostante il ricorso ad argomentazioni massimaliste e concretamente inapplicabili.
In questo quadro rientra anche la richiesta di “impeachment” nei confronti del presidente della Repubblica. La fragilità e la contraddittorietà delle accuse mosse contro Napolitano rispondono solo ad una esigenza: la propaganda. Resta il tentativo, appunto, di delegittimare le Istituzioni. Provare a mettere in un unico calderone le inefficienze — da eliminare — e le garanzie democratiche, da tutelare. Tutti sanno che la procedura per mettere in stato d’accusa il capo dello Stato non avrà alcun esito. In primo luogo perché l’invocato tradimento della Costituzione non si è mai configurato. Eppure i grillini hanno bisogno di presentarsi alle prossime elezioni con il massimo di carica distruttiva. Sanno che hanno poco tempo per richiamare nell’immaginario collettivo la possibilità dello
shutdown della politica. Per loro, perdere il prossimo treno, equivale probabilmente a perdere tutto.

Post Views: 188

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2014/01/la-strategia-del-caos/