La strage al ristorante di Kabul Uccisi anche tredici stranieri

by Sergio Segio | 19 Gennaio 2014 9:23

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Ci potevi andare a ogni ora. Nel tardo pomeriggio era facile fare incontri interessanti con diplomatici, giornalisti, dipendenti della Croce Rossa, funzionari delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie internazionali. La sala da pranzo era ampia, aiutava a socializzare, ma garantiva anche riservatezza. Spesso all’entrata ti veniva incontro Kamal Hamade, il proprietario arrivato dal Libano una decina d’anni fa, contento di spiegare personalmente i piatti del giorno e fiero nel ripetere: «Noi qui vendiamo alcol». A giugno aveva rinnovato i tavolini nel giardino. E parlava dal suo «hummus alla beirutina» con entusiasmo. Un’isola di normalità nel mezzo del caos crescente tutto attorno. Una collega della Bbc ricordava ieri il «delizioso dolce al cioccolato» servito in porzioni giganti. Altri ci andavano per la verdura lavata con acqua minerale e condita all’olio mediterraneo. Uno dei pochi posti in Afghanistan dove non rischiavi il mal di stomaco a mangiare cibi crudi.
Ma tutto questo adesso poco importa. La «Taverna du Liban» non c’è più. Hamade è tra i morti. L’attentato dell’altra sera ha letteralmente spazzato via uno dei ritrovi più noti tra la piccola comunità occidentale e i benestanti locali. Dopo le prime informazioni seguite all’attentato di venerdì sera, ieri sono emersi nuovi dettagli. Erano circa le diciannove e trenta locali quando un kamikaze talebano si è fatto esplodere di fronte all’entrata. Il locale era ben difeso da un alto muro in cemento tutto attorno e guardie armate. Ma il kamikaze fa piazza pulita del servizio di sicurezza. Dietro di lui due uomini armati di mitra irrompono nella sala e aprono il fuoco a raffica. Un massacro. «Stavo seduto con alcuni amici nella zona della cucina, quando siamo stati investiti dall’esplosione. Poi un uomo è entrato sparando. Un mio collega è stato colpito. Allora sono fuggito sul tetto e ho trovato rifugio nel giardino di un vicino», racconta il cuoco, Abdel Majid. Ieri sera gli ospedali segnalavano «almeno 21 morti», tra cui 13 stranieri. Tra le vittime ci sono cittadini libanesi, canadesi, britannici, americani, russi e danesi. Una rivendicazione talebana, ritenuta credibile dalla polizia, sottolinea che il locale è stato attaccato perché frequentato da «alti funzionari stranieri» e per il fatto che «serve alcool».
A Kabul l’attentato viene paragonato per gravità e ripercussioni a quello contro l’hotel «Serena» nel gennaio 2010. Anche allora l’azione dei kamikaze aprì il campo ai terroristi armati di kalashnikov decisi a uccidere chiunque si trovasse all’interno. E, oggi come allora, la capitale avverte incombente l’incubo della minaccia talebana. Con la differenza però che entro la fine dell’anno la grande maggioranza dei contingenti Nato dovrebbero aver abbandonato il Paese, lasciando alle autorità locali il compito di assicurare l’ordine pubblico. Conseguenza immediata per gli stranieri a Kabul è stata cancellare tutti gli spostamenti non strettamente necessari. Rafforzano la sicurezza i ristoranti preferiti dagli occidentali, quali «Boccaccio», «Bella Italia», «Le Bistro», «Le Jardin», «Gandamak». Nel quartiere di Wazir Akbar Khan, dove si trova il locale libanese colpito e dove risiedono le filiali di diverse compagnie internazionali, la polizia ha intensificato i controlli. Gli inquirenti sospettano che ad aiutare gli attentatori possano essere state «talpe» infiltrate tra le guardie.
Lorenzo Cremonesi

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