La sintonia dell’evasore

Loading

E’ il meri­tato tri­buto per gli eva­sori che così, ogni anno, hanno un pub­blico rico­no­sci­mento dell’autoriduzione fiscale che sono riu­sciti a rea­liz­zare? E’ il dove­roso omag­gio al Grande Eva­sore per aver rap­pre­sen­tato nel ven­ten­nio la cate­go­ria al più alto livello di governo?

Se le tasse sono il prezzo che paghiamo per avere scuole e ospe­dali, e solo una parte della popo­la­zione è costretta a tenerli in vita nelle con­di­zioni umi­lianti in cui sono, pren­diamo corag­gio e chie­diamo di raf­for­zare il pac­chetto delle riforme abo­lendo le un’ingiustizia pro­gram­mata, strut­tu­rale, fon­dante dell’incivile con­vi­venza che il paese sop­porta da sem­pre e in eterno.

Per avere con­ferma dell’ineluttabile scon­cio basta una breve sosta negli archivi e sco­prire che siamo una repub­blica fon­data sull’evasione fiscale. Era il 1996, mini­stro delle Finanze Bruno Visen­tini, quando l’evasione fiscale, allora sti­mata in 250 mila miliardi di lire, faceva scri­vere a Luigi Pin­tor che «un’evasione di que­ste pro­por­zioni cessa di essere un reato o un danno per la comu­nità, o per uno Stato castrato e imme­ri­te­vole e diventa rego­la­tore o un incen­tivo, garan­zia di con­senso e di sta­bi­lità di governo».

Natu­ral­mente non tutti gli eva­sori sono uguali, c’è, come ha detto qual­che tempo fa l’ex vice­mi­ni­stro dell’economia Fas­sina, «un’evasione di soprav­vi­venza», quella dei pre­cari, delle par­tite Iva disoc­cu­pate, degli arti­giani e dei pic­coli impren­di­tori che fal­li­scono per­ché lo Stato non paga il dovuto. I ladri stanno altrove, come ine­qui­vo­ca­bil­mente dimo­stra il fatto che nell’ultimo decen­nio l’80 per cento dell’evasione è costi­tuita da importi supe­riori ai 500 mila euro.

Ma allora è tempo che il segre­ta­rio del Pd, anzi­ché fare il gril­lino di secondo livello e dichia­rare in tv «se passa la riforma avremo il Senato a gra­tis», con­vo­chi il bis di Ber­lu­sconi al Naza­reno per com­ple­tare «la pro­fonda sin­to­nia» con l’evasore di Arcore. Basta aggiun­gere al pac­chetto già con­cor­dato il capi­tolo più impor­tante, l’abolizione dell’articolo 53 della Costi­tu­zione, quello che obbliga (si fa per dire) a «con­cor­rere alle spese pub­bli­che in ragione della capa­cità con­tri­bu­tiva» per­ché «il sistema tri­bu­ta­rio è impron­tato a cri­teri di progressività».

Siamo seri, rispet­tiamo il paese reale, teniamo conto del con­senso elet­to­rale. Aiu­tiamo il mini­stro Sac­co­manni che annun­cia la pri­va­tiz­za­zione del 40 per cento di Poste, finia­mola con que­sta usanza post-bellica che reca solo danno al dispie­garsi di un libe­ri­smo moderno e glo­bale che vor­rebbe pri­va­tiz­zare i beni pub­blici e i ser­vizi sociali dando una bella ridi­men­sio­nata al modello euro­peo del welfare.

Noi ita­liani in que­sto campo non teniamo rivali, siamo all’avanguardia e potremmo far­cene a buon diritto alfieri nel par­la­mento euro­peo che a pri­ma­vera con­tri­bui­remo a rinnovare.


Related Articles

Fiducia giù, banche su

Loading

Resta il problema della scopertura finanziaria. Il Colle aspetta il chiarimento in aula del premier

Vodafone lascia Verizon, per 130 miliardi

Loading

Accordo per la cessione del gruppo Usa. Le mosse di Slim e i nuovi assetti

Sono un babbeo, non è un privilegio lasciare il lavoro dopo 40 anni

Loading

Ho 57 anni, lavoro dall’età  di 13, il 30 ottobre 2013, se sarò vivo, taglierò il traguardo dei 40 anni di lavoro (quelli con copertura previdenziale: poi ce ne sarebbero altri 7 di gavetta, ma tutti e 7 rigorosamente in nero…). Come ogni salariato, ho sempre pagato tasse e contributi previdenziali, senza mai, ovviamente, sgarrare.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment