by Sergio Segio | 5 Gennaio 2014 9:12
Sul tema delle coppie omosessuali il dibattito è aperto anche nella Chiesa di papa Francesco.
La posizione del magistero ufficiale non è cambiata: le relazioni omosessuali sono «gravi depravazioni», l’unica via di salvezza resta la «castità» («gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale», non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale, in nessun caso possono essere approvati», ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica). Tuttavia è innegabile che quello che era un tabù, soprattutto durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto.
Il tema lo ha rilanciato papa Francesco anche nel colloquio con i superiori delle congregazioni religiose maschili pubblicato ieri da Civilità Cattolica in un lungo articolo firmato dal direttore del quindicinale dei gesuiti, padre Antonio Spadaro (anche se, siccome l’incontro è avvenuto il 29 novembre, interpretarlo come un inserimento papalino nel dibattito politico di questi giorni è assolutamente fuori luogo).
Parlando dell’educatore che deve «essere all’altezza delle persone che educa» e interrogarsi su come annunciare il Vangelo «a una generazione che cambia», Bergoglio rievoca un episodio accaduto a Buenos Aires: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: la fidanzata di mia madre non mi vuole bene». Chiosa Bergoglio: «Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Bisogna stare attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede».
Leggere queste parole come un’apertura alle coppie omosessuali — come pure qualcuno ha fatto — pare forzato. Di sicuro però la questione viene affrontata in termini più problematici del passato. Come del resto già papa Francesco aveva fatto in estate, di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro, quando in aereo, parlando con i giornalisti, aveva pronunciato la frase che innescò il dibattito: «Chi sono io per giudicare un gay?». Ribadita, e approfondita, nella lunga conversazione con padre Spadaro pubblicata da Civilità cattolica a settembre (e poi in un libro edito da Rizzoli).
«Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quello che dice il Catechismo», puntualizza Bergoglio. «Una volta una persona mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora — prosegue papa Francesco — le risposi con un’altra domanda: Dio quando guarda a una persona omosessuale ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola? Bisogna sempre considerare la persona» e «accompagnarla a partire dalla sua condizione».
La linea sembra chiara: fermezza nella dottrina — del resto Bergoglio da vescovo di Buenos Aires fu uno dei più strenui oppositori della legge che nel 2011 approvò le unioni tra persone dello stesso sesso, definendola frutto della «invidia del demonio» — ma atteggiamento pastorale meno rigido e più inclusivo.
Nel questionario preparato dal Vaticano per interpellare i cattolici di tutto il mondo su temi caldi come le coppie omosessuali e i divorziati in vista del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia in programma per ottobre 2014, un intero blocco di domande è dedicato alle «unioni di persone dello stesso sesso». «Qual è l’atteggiamento delle Chiese locali di fronte alle persone coinvolte in questo tipo di unioni? Quale attenzione pastorale è possibile avere» nei loro confronti?», viene chiesto. E molti di coloro che hanno inviato le risposte ai loro vescovi e in Vaticano — parrocchie, gruppi di base, singoli fedeli — hanno espresso pareri in netta difformità rispetto alle posizioni ufficiali.
Allora proprio il Sinodo potrà essere l’occasione per verificare se le parole problematiche di papa Bergoglio, oltre a manifestare le buone intenzioni di una prassi pastorale più inclusiva ma in un quadro dottrinale di condanna immutato, comporteranno anche un aggiornamento delle ermeneutiche bibliche e soprattutto del magistero. Senza questi passaggi le aperture resteranno dimezzate.
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