La rivoluzione moderata e la nascita del nuovo politico

by Sergio Segio | 16 Gennaio 2014 8:09

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Prima di entrare nel merito della deli­cata mate­ria poli­tica, cui que­sto arti­colo intende fare rife­ri­mento, devo con­fes­sare una mia per­so­nale dif­fi­coltà, o sto­rico disa­gio, che potrebbe ren­dere quanto segue alta­mente opi­na­bile. E cioè: quando il dis­senso poli­tico diventa abis­sale, si tra­sforma in una dif­fe­renza antro­po­lo­gica, che lo fonda e giu­sti­fica. Per quanto mi riguarda è così che io guardo Mat­teo Renzi, il nuovo e bril­lante lea­der della sini­stra ita­liana. E’ come se lui ed io appar­te­nes­simo a mondi diversi, inco­mu­ni­ca­bili. Per­ciò dicevo della mia dif­fi­coltà di costruirci un discorso ragio­ne­vole sopra. Sarebbe come se al mar­ziano di Fla­iano si fosse chie­sto di for­mu­lare un ocu­lato giu­di­zio poli­tico sui fre­quen­ta­tori dei caffè di Via Veneto, o anche vice­versa (ai tempi suoi, s’intende: adesso anche lì è tutt’altra cosa).

Tutto ciò — lo dico senza iro­nia e senza nes­suna auto­con­di­scen­denza affa­bu­la­to­ria — pende gra­ve­mente a mio sfa­vore. Lui è il nuovo che avanza, con tutta la forza dirom­pente della sua totale (anche ana­gra­fica) igno­ranza del pas­sato. Io sono il pas­sato che guarda con sbi­got­ti­mento al pre­sente, con la pre­tesa, oggi total­mente, anzi comi­ca­mente vana, che la cono­scenza del pas­sato, e il tenerne conto, come si faceva una volta, pos­sano por­tare ancora qual­che pic­colo ele­mento di pre­vi­sione, e di azione, per il pre­sente. Ma allora, se della poli­tica abbiamo due nozioni e cre­denze net­ta­mente oppo­ste, per­ché pre­su­mere di giu­di­care una delle due poli­ti­che dalla spe­cola di osser­va­zione di una con­ce­zione della poli­tica che le è esat­ta­mente oppo­sta? Sap­pia per­ciò il let­tore — lo dico per one­stà intel­let­tuale — che que­sto arti­colo sarà mar­cato nega­ti­va­mente da que­sta forte pregiudiziale .

Ridurrò il resto ad alcune con­si­de­ra­zioni basi­lari, anzi, a que­sta sparsa “let­tura del testo”, che illu­mini (forse) il punto in cui siamo.

1. L’ho già detto in altre occa­sioni, ma in esor­dio voglio tor­nare e ricor­darlo. Renzi, e il ren­zi­smo, il quale già gli è nato e anzi pro­spera vigo­ro­sa­mente accanto, rap­pre­senta l’approdo finale della lunga para­bola ini­ziata ven­ti­cin­que anni fa con la Bolo­gnina di Achille Occhetto. Qual è l’essenza di que­sta para­bola? L’essenza di que­sta para­bola è la can­cel­la­zione, oggi ormai totale e irre­ver­si­bile, della tanto vitu­pe­rata “diver­sità comu­ni­sta” (cioè della pre­tesa, abo­mi­ne­vole agli occhi di molti, di fare poli­tica in modo diverso per obiet­tivi diversi).
Que­sta can­cel­la­zione incide tanto più pesan­te­mente sul pano­rama poli­tico ita­liano in quanto non ha dato luogo, come si poteva pen­sare e spe­rare, alla nascita di un’opzione socia­li­sta. Il crollo del vec­chio socia­li­smo, in ragione fon­da­men­tale (ma non solo) della cam­pa­gna giu­di­zia­ria di Mani pulite, e il rifiuto, da stu­diare ancora fino in fondo, della diri­genza post-comunista di suben­trar­gli in quel ruolo, hanno pro­dotto que­sto uni­cum nella sto­ria euro­pea degli ultimi due secoli: l’Italia è l’unico paese in Europa in cui non esi­ste un par­tito socia­li­sta.
Il con­ti­nuo decalage auto­de­fi­ni­to­rio — Pci, Pds, Ds, Pd… — e cioè in buona sostanza l’incertezza pro­fonda su cosa si è e soprat­tutto su cosa si vuole essere o diven­tare, ha pro­dotto la per­dita di qual­siasi iden­tità cul­tu­rale e ideale. Il ren­zi­smo replica: che biso­gno ce n’è? La poli­tica ne pre­scinde. Intanto andiamo avanti a tutta birra. Poi, even­tual­mente, si vedrà.

2. Come già accen­navo, la chiave di tutta que­sta sto­ria sta nell’incredibile serie di errori com­messi dalla vec­chia diri­genza post comu­ni­sta (che non abbiamo né spa­zio né voglia di appro­fon­dire in que­sta sede, ma diamo ormai per sto­ri­ca­mente appu­rati). L’ultimo sopras­salto iden­ti­ta­rio si veri­fica quando Ber­sani scon­figge net­ta­mente Renzi alle pri­ma­rie del 2012. Il genio del ren­zi­smo con­si­ste nell’avere colto il momento in cui lo sfi­ni­mento del vec­chio gruppo diri­gente lascia aperte le porte al più dra­stico dei rove­scia­menti. Tale rove­scia­mento con­si­ste essen­zial­mente di tre aspetti:

a) Renzi sosti­tui­sce la forza ple­bi­sci­ta­ria del con­senso alla gerar­chia orga­niz­zata e sca­lare (e tal­volta un po’ omer­tosa) del Par­tito. Cioè, in sostanza, nega l’utilità e l’opportunità in re del Par­tito, il quale resta come un puro guscio, la ban­diera da sven­to­lare (ma nean­che troppo, spesso quasi per niente) nelle occa­sioni uffi­ciali. Cioè: cam­bia la nozione stessa di demo­cra­zia, che que­sto paese bene o male ha pra­ti­cato dal ’45 a oggi (tute­lata, se non erro, da certi aspetti non irri­le­vanti della nostra Costituzione);

b) Insieme con l’utilità e l’opportunità del pro­prio Par­tito (e, più in gene­rale, della forma par­tito in quanto tale), nega l’utilità e l’opportunità della rap­pre­sen­tanza par­la­men­tare. Infatti, tra­di­zio­nal­mente, fra il corpo degli eletti, i quali, almeno teo­ri­ca­mente, dovreb­bero rap­pre­sen­tare l’autentica volontà popo­lare, e la dire­zione del Par­tito cor­ri­spon­dente c’è sem­pre stata (almeno dopo la chiu­sura, per il Pci, della fase sta­li­niana) una dia­let­tica di con­fronto e di scam­bio. Oggi la rap­pre­sen­tanza par­la­men­tare viene trat­tata alla stre­gua di una sem­plice ese­cu­trice dei dik­tat pro­ve­nienti dalla dire­zione renziana;

c) La poli­tica si dispiega, per il verbo ren­ziano, come la serie di atti che ser­vono a rag­giun­gere il più rapi­da­mente ed effi­ca­ce­mente pos­si­bile quel deter­mi­nato risul­tato. La dire­zione di mar­cia dell’intero pro­cesso, e i suoi riflessi sulla situa­zione sociale, cul­tu­rale ed etico-politica del paese, restano nell’ombra. Pro­ba­bil­mente ci sono, ma meno si vedono e meglio è (o forse, se si vedes­sero, sarebbe molto peg­gio). Come si dice a Roma “famo a fidasse”.

3) Se le osser­va­zioni pre­ce­denti sono mini­ma­mente fon­date, salta all’occhio che le carat­te­ri­sti­che “nuove” del ren­zi­smo (cioè la velo­cis­sima rivo­lu­zione acca­duta negli ultimi due anni nel campo della sini­stra mode­rata) sono enor­me­mente simili a quelle già veri­fi­ca­tesi nel corso degli anni pre­ce­denti nel centro-destra e nella realtà poli­tica del dis­senso e dell’opposizione popo­lari.
Per vin­cere Sil­vio Ber­lu­sconi e Beppe Grillo — cosa che non era sta­bil­mente acca­duta mai alla vec­chia diri­genza post-comunista e post-democristiana — occor­reva seguirli sul loro stesso ter­reno. Que­sto mi pare dav­vero incon­fu­ta­bile: lea­de­ri­smo asso­luto, popu­li­smo ple­bi­sci­ta­rio, discreto disprezzo dei mec­ca­ni­smi isti­tu­zio­nali e costi­tu­zio­nali, rifiuto del sistema-partito e del sistema-partiti, rot­tura degli schemi della vec­chia, logora e con­sunta imma­gine del poli­tico ancien régime, sono i punti di forza del “nuovo poli­tico” al di là e al di qua dei tra­di­zio­nali, anch’essi ter­ri­bil­mente obso­leti, limiti politico-ideali, destra, sini­stra, e quant’altro ci viene dal pas­sato. Il “nuovo poli­tico” non ha avver­sari: ha solo con­cor­renti, da bat­tere più o meno sul loro stesso ter­reno. Fra loro potreb­bero per­sino inten­dersi: e non è detto che almeno su certi ter­reni, per esem­pio la nuova legge elet­to­rale, que­sto non accada.

4. Il dato forse più signi­fi­ca­tivo di tale pro­cesso è che esso ha acqui­sito rapi­da­mente un vasto con­senso popo­lare. Il “popolo” (insomma, più esat­ta­mente, un quo­ziente piut­to­sto vasto dell’elettorato del Pd, con rami­fi­ca­zioni signi­fi­ca­tive negli altri elet­to­rati) segue Renzi su que­sta strada. Da più parti si sente ripe­tere: «Con Renzi si vince». Importa meno sapere “cosa si vince”, pur­ché sia rag­giunta una ragio­ne­vole sicu­rezza che “con Renzi si vince”. Dun­que, lea­de­ri­smo, popu­li­smo ple­bi­sci­ta­rio, liqui­da­zione dei par­titi, un discreto disprezzo per il gioco par­la­men­tare e per le isti­tu­zioni che lo garan­ti­scono, hanno fatto brec­cia in pro­fon­dità. Media — organi di stampa, tele­vi­sioni, opi­nion makers — si alli­neano sem­pre più entu­sia­sti­ca­mente. Uomini ine­qui­vo­ca­bil­mente di sini­stra (Ven­dola, Lan­dini) sem­brano guar­dare con sim­pa­tia alle pos­si­bi­lità di mano­vra, che il “nuo­vi­smo” ren­ziano con­sente loro (per forza, meglio che star fermi, oppure restare per sem­pre marginali!).

5. Dun­que, c’è stato, come sem­pre accade in que­sti casi, un pro­cesso di reci­proco rico­no­sci­mento tra il lea­der nascente e le masse mutanti (ne hanno discorso recen­te­mente Euge­nio Scal­fari ed Erne­sto Galli della Log­gia rispet­ti­va­mente su la Repub­blica e il Cor­riere della Sera: tor­nerò pros­si­ma­mente su tale argo­mento). Si potrebbe ragio­nare a lungo su tali pro­cessi. Quel che conta è però che siano avve­nuti. Con­sta­tarlo non signi­fica però sapere come con­trap­por­visi. Anzi: è dif­fi­cile inter­porsi soprat­tutto nel momento stesso in cui, come accade ora, tale con­giun­gi­mento avviene. E tut­ta­via, il momento in cui il con­giun­gi­mento avviene è però anche quello in cui una pos­si­bile inter­po­si­zione va ela­bo­rata e pre­sen­tata; altri­menti la par­tita è chiusa come minimo per un decen­nio. Ma qui con­ciano i dolenti lai. Non si tratta infatti di con­trap­porre sol­tanto un’ipotesi poli­tica a un’altra, per ora pre­va­lente. Si tratta, per rie­su­mare una vec­chia, dete­sta­tis­sima ter­mi­no­lo­gia, di ricreare una cul­tura poli­tica della sini­stra, anco­rata alla tra­di­zione (tutto quel che c’è di buono al mondo ha un pas­sato e una sto­ria) e al tempo stesso moderna, moder­nis­sima, più dell’altra che, tutto som­mato, non vede molto più al di là della punta del pro­prio naso. Ossia. comin­ciare a dire ragio­ne­vol­mente quel che si vuole e prima di dire come lo si vuole. Resta dun­que qual­cosa del pas­sato: diversi. Ma nuovi: non più comu­ni­sti. Que­sta è la scom­messa. Resta tutto som­mato cre­di­bile dal fatto che in Ita­lia di così ce ne sono tanti, li cono­sco e ci lavoro insieme. Dif­fi­cile è sten­dere la rete fra le loro non sem­pre facil­mente assi­mi­la­bili diver­sità. ma se si deve fare, si farà. In tempi di duris­sima care­stia è esat­ta­mente quello che biso­gna tor­nare a fare.

6. Prima di chiu­dere vor­rei esi­birmi nell’ultima far­ne­ti­ca­zione poli­tica, anzi poli­ti­ci­stica. Se le cose stanno come il pas­sa­ti­sta dice, biso­gne­rebbe evi­tare a ogni costo che il governo Letta cada e si vada, come gli homi­nes novi più o meno con­cor­de­mente auspi­cano, al voto.

Per tre motivi (almeno): a) biso­gna evi­tare che la destra si ricom­patti; b) biso­gna ela­bo­rare una buona legge elet­to­rale che senza equi­voci assi­curi in que­sto paese l’alternanza: il dop­pio turno e le pre­fe­renze (pos­si­bil­mente più di una), sono l’unico sistema in grado di farlo, e per otte­nerlo ci vorrà più tempo di quanto si pensi; c) abbiamo biso­gno di tempo per ela­bo­rare, pro­porre e imporre una nuova cul­tura poli­tica, della sini­stra, con le con­se­guenze che un tale pro­cesso potrebbe avere sull’intero assetto poli­tico e civile del paese.

Sono argo­men­ta­zioni para­dos­sali per uno che invita a resu­sci­tare la vecchio-nuova sini­stra? Sì, è vero. Ma il para­dosso è la nostra attuale con­di­zione di vita — per­sino della vita pub­blica e civile (tal­volta per­so­nale), oltre che poli­tica. Fare a meno del para­dosso oggi non si può. Per­ciò è neces­sa­rio astu­ta­mente governarlo.

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