La legge sul negazionismo che inquieta gli storici
Alla fine, la domanda è semplice: chi nega l’orrore della Shoah può essere perseguito dalla legge? Oppure, per estensione: la verità storica può essere determinata dal codice penale? Ovviamente non è un caso che il dibattito torni d’attualità a pochi giorni dal Giorno della Memoria (che cade dopodomani, il 27 gennaio), ridestando di colpo la politica italiana sui temi dell’Olocausto: fatto sta che ieri l’altro l’aula del Senato ha “iscritto d’urgenza” nel calendario dei suoi lavori il ddl 54 («contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra», prima firma Silvana Amati del Pd), che torna a prevedere l’introduzione nel codice penale del reato di negazionismo.
Ma ancora una volta il passaggio rischia di essere tutt’altro che indolore. Come d’altronde successe ad ottobre, quando non solo votarono contro il disegno di legge i Cinquestelle e il Psi, ma espresse fortissimi critiche la quasi totalità degli storici contemporaneisti italiani, i quali — attraverso una nota ufficiale della Sissco, la società che li raccoglie — parlarono di una norma «ambigua e di difficile attuazione», temendo in sovrappiù «l’estensione della pena a chiunque negli l’esistenza di crimini di guerra o di genocidio», ossia allargando lo spettro ben oltre la Shoah. Oggi il dibattito rischia di riproporsi negli stessi termini. «Il testo è migliorabile», ha messo le mani in avanti Lucio Malan di Forza Italia parlando in aula, dove il disegno dovrebbe approdare martedì o mercoledì. Ma si sente in dovere di precisare, Malan, che «è doveroso esaminare il ddl perché il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, e negare l’esistenza dell’Olocausto non può lasciare indifferenti le nostre coscienze». Tuttavia il quadro, nei palazzi, è tutt’altro che limpido. Se da una parte è esploso il Nuovo centrodestra con Carlo Giovanardi e Fabrizio Cicchitto, («è una legge liberticida, un delirio da regime totalitario»), dall’altra si registrano, sottotraccia, non pochi mal di pancia dentro lo stesso Pd. Nelle cui fila da una parte sono stati elaborati alcuni emendamenti tesi a “migliorare” il testo, mentre dall’altra vi è chi è fortemente sensibile agli argomenti degli storici.
Tre mesi fa, quando il tema fu rilanciato dalla coincidenza dei furori che si erano creati intorno agli ipotetici funerali di Erich Priebke e del settantesimo anniversario del rastrellamento nazista nel ghetto di Roma, è stato Carlo Ginzburg, che ha dedicato molte e sofferte pagine al tema della persecuzione, a esprimersi, attraverso un’intervista aRepubblica, nel modo più netto: «Quello contro il negazionismo è un disegno di legge inaccettabile. E reputo dilettantesco il modo con cui la classe politica l’ha riproposto, senza tenere conto delle serie obiezioni mosse in passato». Obiezione numero uno, secondo Ginzburg: «È inammissibile imporre per legge un limite alla ricerca». È un «punto di principio che prescinde dal contenuto», dice lo storico, e questo nonostante (o proprio perché) «le tesi dei negazionisti siano ignobili dal punto di vista morale e politico». Altrettanto duro Adriano Prosperi: «Questa non è solo una legge sbagliata: una norma penale contro un reato d’opinione non può entrare nel codice di un paese erede dei principi dell’Illuminismo senza alterarlo in modo sostanziale». Come dire: è la cultura a determinare la storia, non il codice.
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