La corsa del sindaco: non mi fermeranno gli ultimi giapponesi

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ROMA – «Sta andando benissimo»: a sera Renzi fa il punto con i suoi. Gli scambi continui di sms e e-mail con Alfano e il colloquio con Verdini lo fanno ben sperare.
Certo, una parte del Pd gli ha puntato i cannoni addosso. Addirittura la stessa Unità di ieri pubblicava in prima un commento dell’ex direttore dal titolo più che significativo: «Il fratello del Porcellum». E, non si sa mai al lettore potesse sfuggire il concetto, lo ribadiva anche in seconda pagina: «Un Porcellum corretto in salsa spagnola». Ma il segretario non sembra intimorito dalle fibrillazioni interne. Nemmeno la reprimenda di Bersani sembra togliergli la voglia di siglare il patto sulle riforme: «Hai sbagliato a incontrare Berlusconi al Nazareno. Era politicamente finito e così è tornato alla ribalta. Tu sei il segretario ora e devi imparare a gestire la leadership in modo plurale, tenendo conto delle diverse sensibilità». Ma tutto ciò non lo fa recedere dall’ottimismo: «Ragazzi – ha spiegato ai suoi – penso che una volta che il Pd avrà votato la proposta, i parlamentari si comporteranno con lealtà anche nel voto segreto. Solo dei pazzi potrebbero impallinare la legge, mettendo a rischio la maggioranza e il governo».
Sembra convinto, il sindaco. E più che motivato: «Non mi fermeranno». Non lo faranno nemmeno «gli ultimi giapponesi». Quelli che nel Pd insistono per le preferenze o il doppio turno. Una parte dei dalemiani e i bersaniani, per intendersi. Né lo indurranno ad arretrare le voci secondo cui per ottenere un accordo, il segretario si piegherebbe a una dilazione dei tempi. Ossia a far passare in prima lettura, in Parlamento, le riforme costituzionali, prima di mandare in porto la nuova legge elettorale: «Non possiamo aspettare o perdere altro tempo», è il suo ritornello.
Delle preferenze, poi, il leader del Pd non vuole nemmeno sentir parlare: «Non torneremo alla Prima Repubblica, proprio adesso che stiamo inaugurando la Terza». E non dà retta neanche a chi nel Pd chiede un referendum degli iscritti: si sono già espressi, elettori e iscritti, con le primarie, è l’obiezione. Renzi sa di giocarsi molto, e «non solo la faccia», come sa che di resistenze ce ne saranno ancora: «C’è chi ha paura che dopo aver mandato in porto la riforma elettorale, le infiliamo tutte», ragiona con i fedelissimi. Il segretario è convinto – e lo ha assicurato l’altro ieri a Berlusconi – che alla fine, su quella revisione del Porcellum nel Pd «si ritroveranno» tutti o quasi. Non gli è sfuggita, infatti, la presa di distanza dei «giovani turchi» dalle parole di Stefano Fassina.
Renzi pensa che nemmeno le veline che pure girano su un rimpasto, un Letta bis, o una dilatazione dei tempi per l’approvazione della riforma elettorale, lo fermeranno: «Vedrete quante ne diranno», scherza con i suoi. Del resto, è ovvio che se il sindaco di Firenze centra l’obiettivo, si presenta come il vero «deus ex machina» della politica italiana. «È la ragione per la quale hanno fatto di tutto per rinviare la revisione del Porcellum. Ma non mi importa di questo, né di quelli che hanno cercato e cercheranno di mettermi i bastoni tra le ruote – spiega ai suoi – quello che conta è anteporre il bene del Paese al nostro e a quello del partito, a cui sarebbe magari convenuto di andare a votare ora perché avrebbe vinto».
Da questo punto di vista, il sindaco non vuole nemmeno sentir parlare della possibilità di prendere il posto di Letta a palazzo Chigi. Glielo hanno chiesto in questi giorni alcuni esponenti della maggioranza, preoccupati per la scarsa tenuta di questo governo. Ma a tutti Renzi ha spiegato che è sua intenzione farsi «legittimare dal voto degli elettori».
Dunque, niente scorciatoie. Ma neanche allungamento dei tempi. E in questo caso si rivolge a chi nel governo ipotizza uno slittamento dell’approvazione della riforma elettorale per far passare prima una parte delle revisioni costituzionali. Il che equivarrebbe «a non fare mai la nuova legge», obiettano i renziani. Del rimpasto, ora il leader del Pd, preferisce non parlare nemmeno. Riguarda palazzo Chigi e il Quirinale. Alcuni dei suoi ci sperano. E circola già un toto-nomi. C’è chi ipotizza una promozione per Delrio (Interno o Sviluppo) e l’ingresso di esponenti renziani al Lavoro e all’Istruzione o alla Cultura. Ma, come ha già avuto modo di ribadire più volte, al segretario «le poltrone non interessano».
Maria Teresa Meli


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