Kiev, i ribelli “armano” la piazza

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KIEV— Dimenticate le folle colorate e paciose che sognavano l’Europa, cantando sotto la neve. Dopo l’ultimo mercoledì di guerra, i quattro morti, le centinaia di feriti, i quasi mille arresti, la Majdan è diventata cattiva e si prepara al peggio mentre la rivolta si estende in altre città, a Leopoli, Cerkassy, Zhitomir.
La piazza più grande di Kiev, occupata da due mesi da una folla di sostenitori della adesione alla Ue, ha mutato volto in una notte. Spariti i ragazzi con gadget e bandierine; prudentemente rintanate in casa davanti alla tv, le famigliole con bambini che venivano a curiosare; nessuna traccia dei pensionati, degli impiegati, della tanto entusiasta “gente comune”. Adesso si fa sul serio. I colori dominanti sono diventati il nero delle giacche imbottite e il verde militare di centinaia di elmetti da soldato spuntati chissà da dove. A presidiare la piazza della rivolta sono uomini dall’aspetto truce, e dall’aria ben addestrata. Agitano bastoni di legno, manganelli rubati ai poliziotti durante gli scontri, gigantesche chiavi inglesi, piedi di porco. Indossano passamontagna, portano alle braccia e alle ginocchia ingegnosi paracolpi fatti in casa con cartone e nastro adesivo. Sul palco non si esibiscono più vecchi cantanti folk o pop star come Ruslana che invitava alla «pace e all’autocontrollo». Si recitano piuttosto antiche preghiere che consolavano gli eserciti prima delle battaglie, o si intonano cupe canzoni patriottiche. Perfino la disordinata, pittoresca, tendopoli è diventata un campo militare. Le trincee fatte con il ghiaccio e la neve sono state perfezionate con il filo spinato. E una fila interminabile di mattoncini divelti è pronta per essere lanciata contro un eventuale attacco della polizia.
Lo scontro appare inevitabile a tutti. Perfino ai tre leader della rivolta che ieri sera hanno chiesto una tregua per trattare con il presidente Yanukovich. Chiedere adesso un’adesione alla Ue è ovviamente fuori discussione. Si cerca di ottenere qualche piccola vittoria per giustificare una ritirata dignitosa: un rimpasto del governo, l’annullamento delle durissime leggi anti-dissenso appena votate e copiate pari pari dalle leggi imposte in Russia da Putin due anni fa; una massiccia scarcerazione dei tanti manifestanti imprigionati. Il presidente prendetempo, annuncia il dibattito in Parlamento per martedì e il possibile cambio della guardia nell’ufficio del premier. Accenna anche a un possibile ritocco delle ultime leggi. E intanto ieri ha ricevuto una telefonata dal vicepresidente Usa, Joe Biden, che lo ha «invitato al dialogo e al compromesso».
Ma agli irriducibili che adesso controllano la Majdan non basta. Vogliono la vendetta per i quattro morti, pretendono elezioni anticipate. Soprattutto non sembrano intenzionati a seguire i tre leader che fino ad ora hanno trattato anche in loro nome. Compattatiin una nuova organizzazione battezzata “Settore destro”, diverse centinaia di militanti di estrema destra, paramilitari, naziskin, hanno ormai deciso di continuare la rivolta a oltranza. Artiom Skoropadskij, che tra insegne e bandiere vagamente neonaziste distribuisce caschi da operaio e tubi di ferro, non ha dubbi: «Ballare e cantare per due mesi non è servito. Adesso è il momento di combattere». E la linea dura della nuova Majdan è servita intanto a tirare il peggio dalle forze di polizia che certo hanno usato la mano pesante come non mai. Pestato giornalisti, denudato e lasciato nella neve un ragazzo che li aveva aggrediti, sparato bombe “assordanti”, infierito con i manganelli. Hanno pure sparato ad altezza d’uomo sui manifestanti? Non è facile da capire e anche sulla Majdan ci sono molti dubbi. Di certo comunque, due ragazzi sono morti colpiti da armi da fuoco. L’autopsia parla di «colpi sparati dall’alto» e di pallettoni da fucili da caccia «non in dotazione alle forze di polizia». E allude a una provocazione. Ma gli infiltrati e i provocatori potrebbero benissimo essere stati guidati dal regime come è capitato tante altre volte in passato. Un terzo ragazzo è morto precipitando da una torre. Un attivista pro Europa è stato ritrovato morto in un bosco di periferia. Un testimone giura di essere stato sequestrato insieme a lui e di essere stato picchiato. Storie confuse ma orrende che evocano esecuzioni degne delle peggiori dittature sudamericane. E che rendono la situazione sempre più esplosiva. Mentre i tre leader, sempre meno credibili, invocano «pazienza e serenità» e gli altririnforzano le difese.


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