Io sottoscritto dentro l’inferno

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CRONACHE DI UN MANICOMIO CRIMINALE, di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito Pag. 187 Euro 12 Edizioni Dell’Asino

Il detenuto, appena entra in matricola, viene posto davanti ad un brigadiere e una guardia
«Chiedevo acqua e non mi veniva data. Cibo pessimo Per fare i bisogni c’è un buco nel letto: devo fare tutto lì»

Nel 1974 un internato, Aldo Trivini, denunciò con un memoriale redatto in prima persona gli abusi, le violenze, le morti che avvenivano tra le mura del manicomio criminale di Aversa. Questo documento, straordinario nella sua unicità, viene qui pubblicato integralmente per la prima volta. Da esso scaturì un processo che rese nota una terribile realtà. Tra passato e presente, a quarant’anni di distanza, due ricercatori ricostruiscono la vicenda di quelli che oggi sono chiamati Ospedali psichiatrici giudiziari.

IL 6 DICEMBRE 1974 UN ESPOSTO DENUNCIA VIENE DEPOSITATO PRESSO LA PRETURA DI AVERSA. QUARANTOTTO FOGLI, dattiloscritti da mano inesperta, ma con parole nette e dure. «Il sottoscritto, Trivini Aldo, espone alla S.V. ill.ma quanto segue: nel periodo di oltre un anno in cui il sottoscritto è stato rinchiuso nel Manicomio Giudiziario di Aversa (…) egli è stato sottoposto ad ogni genere di maltrattamenti e abusi da parte dei pubblici ufficiali addetti alla custodia. Ed analoghi abusi ha dovuto osservare commessi a danno di altri internati, dei quali molti hanno voluto rilasciare denuncie scritte o registrate su nastro magnetico con il desiderio di ottenere la giusta punizione dei responsabili. Il sottoscritto, pertanto, allega al presente esposto (di cui fanno parte integrante) un memoriale, firmato in ogni pagina, che riporta fatti ed avvenimenti riferibili soprattutto al 1972 e 1973, di cui egli è stato personalmente vittima o testimone (…)».
Comincia così la storia che svelerà l’orrore quotidiano di quelli che allora si chiamavano manicomi giudiziari e oggi Ospedali psichiatrici giudiziari. Hanno cambiato acronimo ma non sede, i manicomi criminali, aperti ad Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Napoli. Oggi, come allora, vi finiscono internati sofferenti psichici autori di reato, condannati ad una misura di sicurezza detentiva che può essere prorogata senza limiti. La denuncia è una puntuale e diretta ricostruzione delle condizioni inumane cui erano costretti gli oltre mille internati di Aversa. Un inferno che comincia appena si varca l’ingresso.
«Il detenuto, appena entra in matricola, viene posto davanti ad un brigadiere e una guardia; il brigadiere, finito di leggere la cartella personale del detenuto, rivolge a costui alcune domande di carattere psichiatrico, come ad esempio queste domande: Quanto è lungo un serpente dalla coda alla testa, se dalla testa alla coda è lungo 3 metri?”, “Se tua sorella ti piace e la vedi nuda, cosa le fai?”, poi secondo la risposta data dal detenuto vanno avanti “E a tua madre, e a quello, e a quella?”, “Hai mai camminato con tre scarpe?”, ecc., ecc. Se il detenuto risponde, con l’aria di essere preso in giro per queste zozze domande, è facile che si prenda anche qualche cazzotto in faccia o un calcio negli stinchi, mentre il più delle volte volano le schicchere sul naso, o sulle orecchie, tutto questo perché le guardie ti considerano come una bestia e ciò che essi fanno è lecito».
SISTEMATICA COERCIZIONE
Un sistema diffuso di piccole violenze e sistematica coercizione. Nel letto di contenzione si finisce per la più insignificante delle ragioni. «Venne il brigadiere, mi disse “dove vuoi andare, in altro reparto?” “sì” e gli spiegai i fatti. Lui mi rispose: “tu più che al cimitero, non puoi andare” mi prese e mi legò di nuovo per 2 giorni in un’altra stanza. Lì mi fecero delle punture, trattato male e sempre umiliato, con la sete. Chiedevo acqua e non mi veniva data. Cibo pessimo e neanche bastava per tutti. Per fare i bisogni c’è un buco nel letto: devo fare tutto lì. Poi quando fai la cacca, dopo un’ora, due ore viene lo scopino con una scopa grande con due zeppi, con un secchio, ti scopre, allarghi le gambe e lui ti pulisce in mezzo. Ti raschia in mezzo alle gambe e ti fa uscire pure il sangue. La spazzola è fatta di zeppi e non è pulita perché pulisce altri detenuti: è sempre sporca di cacca». Al letto di contenzione, appurerà in seguito il processo nato da questa denuncia, è morto un ragazzo di soli 19 anni, stroncato da una polmonite.
Tra tutte c’è una scena che meglio descrive le condizioni di “bestialità” cui sono costretti gli internati, rinchiusi come in uno zoo. «Chiesi a Chirico dove bisognava andare egli mi rispose “allo zoo”. “Come allo zoo? (perché le guardie chiamavano il cortile esterno lo zoo)”. Con Chirico mi avvicinai agli altri e (da) come le guardie ci spingevano, facendoci vedere il bastone, capii perché lo chiamavano lo zoo. Non mancava nulla alla scena: oltre alle bestie e ai domatori, c’erano pure i cani, rappresentati dagli scopini che, come cani ammaestrati, rincorrevano quei detenuti sparpagliati o che tardavano a mettersi in fila. Una volta dentro lo zoo, mi parve chiaro come il nome fosse indovinato. I detenuti, dentro, attaccati alla rete, rappresentavano gli animali, le guardie e i servi erano i guardiani. Sporchi, laceri, sozzi, con fagotti sulle spalle, giravano per il cortile, uno dopo l’altro, alcuni che erano più decenti sedevano sulle panchine, altri sdraiati per terra come cose morte. (…) quando sulla strada che fiancheggiava il cortile passavano i lavoranti o qualunque persona che vestisse abiti borghesi (…) come gli animali del giardino zoologico si avvicinavano per ricevere le noccioline dai visitatori, (i detenuti) si aggrappavano alla rete per ricevere qualche cicca: solo che i visitatori danno alle scimmie, alle giraffe, agli elefanti qualunque cosa, ma se capitava qualcuno che dava la cicca, la faceva volare oltre la rete e “gli animali”, cercando di prenderla, si azzuffavano fra loro».
Questo esposto, unico nel suo genere, e corredato da un video clandestino girato dallo stesso Trivini con una super8, contribuì a svelare la violenza istituzionale dei manicomi criminali, contro le cui mura si infranse anche la riforma Basaglia. Le perizie e le inchieste della procura confermarono le parole di Trivini. Gli esiti processuali furono molto blandi rispetto allo scenario di morti e abusi, ma si affermò una verità innegabile. Epilogo tragico il suicidio dell’allora direttore Domenico Ragozzino, incontrastato dominus del manicomio.
Oggi, a distanza di quarant’anni, nell’anno in cui gli Opg dovrebbero finalmente chiudere (ma già se ne preannuncia un’ulteriore proroga), Cronache da un manicomio criminale prova a recuperare la memoria di vite rinchiuse, internate. «Vite – scriveva Michel Foucault – che sono come se non fossero mai esistite, che sopravvivono solo per il fatto di essersi scontrate con un potere determinato ad annientarle o cancellarle, vite che non ci vengono restituite se non per una serie di casi».
Le denunce del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e della Commissione di inchiesta presieduta da Ignazio Marino dimostrano l’attualità di questa storia. I manicomi non possono essere altro che luoghi di violenza e sopraffazione.
La storia insegna non solo la necessità di chiuderli, ma anche di superare ogni dispositivo di internamento psichiatrico e le forme di violenza che trasformano i medici in custodi e i sofferenti psichici in eterni prigionieri.

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Il convegno
Oggi l’incontro a Trieste con Luigi Manconi

Nel 1974, dal memoriale di denuncia di un internato del manicomio criminale di Aversa (ancora oggi aperto e funzionante), nacque un processo che portò alla condanna del direttore del manicomio, che in seguito si tolse la vita, e di alcuni agenti di polizia penitenziaria. Dopo quarant’anni la storia è raccontata in un libro (Cronache da un manicomio criminale, di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito, Edizioni dell’Asino 2013, prefazione di Assunta Signorelli) che pubblica integralmente quel manoscritto. Oggi dalle 15,00 gli autori lo presenteranno al Palazzo della Regione a Trieste nell’ambito dell’Incontro «La maggioranza deviante» con Maria Grazia Giannichedda, Luigi Manconi e Franco Rotelli.


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