by Sergio Segio | 2 Gennaio 2014 11:15
NEW YORK — «Non aspetteremo, lo faremo adesso»: Bill de Blasio lo ripete una, due, tre volte, è lo slogan che ritma il suo discorso di investitura sui gradini della City Hall nel giorno del giuramento. Il nuovo sindaco di New York lo aveva promesso in campagna elettorale e ora lo ribadisce: «E’ venuto il tempo di combattere le ingiustizie sociali e le diseguaglianze economiche che minacciano il futuro della città che amiamo». Alle sue spalle Bill Clinton e la moglie Hillary, l’ex presidente e il probabile successore di Obama, fanno sì con la testa: quello che va in scena qui, non è solo il rito di investitura ma un vero e proprio esperimento politico. Il laboratorio, dove «tutti i progressisti d’America» guardano, come scrive il New York Times e come urla con la poca voce che gli è rimasta anche una delle icone del movimento liberal, il cantante Harry Belafonte che apre la giornata: «Possiamo essere il Dna per una nuova forza progressista nel Paese».
C’è un bel sole e tira un vento freddo che però non gela la festa. I mille biglietti messi a disposizione per i newyorchesi vengono bruciati in meno di due ore. Ci sono i volontari, che dopo mesi di duro lavoro si ritrovano qui per l’ultima volta: fanno foto di gruppo, ballano al ritmo della musica che accompagna l’attesa, ridono felici, le facce stanche da primo dell’anno nascoste sotto i cappellini arancioni. I riccioli rasta di Jasmine spuntano ribelli, abita a Brooklyn, è una delle veterane: «E’ il più bel Capodanno della mia vita. Questa notte non ho dormito dall’emozione». Vicino a lei c’è Katharine, viene dal Bronx, ricorda i momenti bui in agosto quando tutto sembrava perduto, ora è qui con il piccolo Jack di cinque anni: «Sono contenta per mio figlio, sono sicura di aver dato il mio contributo per costruire un mondo migliore per lui».
E’ una festa per famiglie a partire dalla “first family” ancora una volta protagonista della scena. Le rende omaggio Bill Clinton: «Voi siete il futuro di questa città, il futuro dell’America». E de Blasio apre il suo discorso, dopo aver giurato sulla Bibbia che fu di Roosevelt, con una dedica romantica: «Ricordo il giorno che ho incontrato in questo palazzo dietro di me una meravigliosa giovane ragazza: Chirlane, la donna che mi ha cambiato la vita. Mia compagna, amica, consigliera e anima gemella». Poi dice, in italiano, “Grazie” ai suoi fratelli che lo «sostengono da sempre». La figlia Chiara, che con coraggio nei giorni di Natale aveva ammesso di aver avuto problemi di alcol e droga, soffia baci alla folla.
Dante, «i capelli più famosi d’America » come lo ha definito un comico, recita con grande serietà il ruolo di cerimoniere: stringe mani, sostiene Belafonte ma quando parte la musica non resiste e ondeggia il ciuffo. Qualche ora prima, poco dopo la mezzanotte sono tutti insieme davanti alla piccola casa di legno in Park Slope a Brooklyn per il primo giuramento di de Blasio, che sceglie apposta la sua residenza middle class. Così come decide di arrivare alla cerimonia ufficiale in metropolitana, senza scorta e corteo di auto. Cappotto blu, guanti di
pelle nera e la cravatta rossa portafortuna, sbuca in perfetto orario dal tunnel e subito viene accerchiato dai sostenitori che lo spingono dentro il recinto di Park Row. Accurata anche la scelta degli ospiti: ci sono una coppia che ha perso la casa nella tragedia di Sandy, un lavoratore di un fast food, un immigrato e la piccola Dasani, la bambina di 11 anni protagonista di una campagna del
New York Times in favore dei senza tetto: è il suo pantheon. Simboli ma non solo, come lui stesso ci tiene a ribadire per respingere le accuse di populismo: «Qualcuno pensa che la mia sia solo retorica buona per la propaganda. Dimostrerò che non è così ». Il manifesto è scritto: «New York ha affrontato la bancarotta, un’epidemia di criminalità e il terrorismo adesso siamo di fronte ad una nuova crisi: la diseguaglianza e l’ingiustizia. Una crisi che magari non conquista i titoli dei giornali ma che è una minaccia altrettanto pericolosa. Dobbiamo lottare perché non sia più così». Promette un programma per le case popolari, più fondi alle scuole, dare a tutti i ragazzi la possibilità di studiare, sostegno agli ospedali, attenzione ai più poveri perché «nessuno deve essere lasciato indietro», basta con le «due città, quella della ricca Manhattan e quella degli altri quartieri dimenticati» e soprattutto basta con «la dittatura dell’un per cento». A loro, alla minoranza ricca, dice con chiarezza e un filo di ironia: «Chiederò ai più abbienti di pagare poche tasse in più, chi guadagna oltre 500mila dollari avrà 700 dollari in più all’anno: sono 3 al giorno, quanto costa un bicchiere di latte di soia da Starbucks». Poi spiega: «Io non chiedo di più ai ricchi per punire il loro successo, lo faccio perché voglio creare più storie di successo. Non è una novità, tutto questo sta scritto nei nostri geni, lo hanno già fatto prima di me Roosevelt e La Guardia. Questa è la città che accolto i miei nonni da un piccolo paese dell’Italia: un posto dove tutti hanno le stesso possibilità, dove tutti, bianchi, neri, latinos, asiatici, gay, lesbiche hanno gli stessi diritti. Questa è la nostra missione. La marcia verso un luogo più giusto, più equo, più solidale inizia oggi: lavoreremo assieme e manterremo le nostre promesse ».
La musica dance copre gli applausi, Bill si gira, cerca Chirlane, Chiara e Dante che lo raggiungono, si stringono le mani, fanno una catena, alzano le braccia al cielo e poi le abbassano, fanno un passo avanti e uno indietro come gli attori dopo uno spettacolo. Il sipario si abbassa, la festa è finita: adesso, come scherza Belafonte, inizia il lavoro: «Nei prossimi quattro anni saremo molto impegnati».
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