Il sogno di Putin e le speranze dei giovani ucraini

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Non si tratta di iniziative isolate. Le mosse di Putin rientrano in uno schema di comportamento che da un paio d’anni a questa parte porta la Russia a prendere le distanze dall’Occidente: leggi che autorizzano ufficialmente gli atti di intimidazione verso gli omosessuali, la demonizzazione delle organizzazioni pro-democratiche, nuove leggi che estendono il reato di tradimento, limiti imposti alle adozioni dall’estero.
Non è solo una prova di forza: Putin sta cercando di contrapporsi all’Europa, di tornare indietro di 25 anni. Sulle possibili motivazioni di questo atteggiamento ci sono varie teorie: Putin è il ragazzo difficile che indossa l’uniforme del KGB per rivalsa e non se la toglie più. E’ il campione della realpolitik, cinico e calcolatore. E’ l’Uomo Sovietico, che continua a combattere la guerra fredda.
Da quando ha assunto la presidenza, nel 2012, Putin ha avuto sempre più l’impressione che le sue aperture nei confronti dell’Occidente non fossero accolte con il dovuto rispetto. La sua umiliazione e il suo risentimento si sono trasformati in un’antipatia ideologica che non è prettamente sovietica, ma profondamente russa. Non si lagna più dell’influenza politica e della supremazia economica dell’Occidente: la sua ostilità ha carattere profondamente spirituale. Negli ultimi due anni Putin è diventato più conservatore a livello ideologico, più propenso a considerare l’Europa decadente e estranea al mondo slavo orientale, cristiano ortodosso, cui appartengono sia la Russia che l’Ucraina. «E’ tolleranza senza limiti», dice Dmitri Trenin, del Carnegie Endowment for International Peace. «E’ laicismo. Putin giudica l’Europa post-cristiana, con la sovranità nazionale soppiantata dalle istituzioni sovranazionali».
Per valutare la portata dell’azione di Putin è utile fare un passo indietro. Nel luglio 1989, il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov disse a Strasburgo che la Russia ormai sentiva di condividere la «casa comune europea» con i suoi rivali occidentali. Il rapporto tra loro doveva fondarsi sul rispetto e sul commercio, non più sul confronto e la deterrenza. «Il lungo inverno del conflitto mondiale sembra giungere al termine», scrisse all’epoca Jim Hoagland, inviato delWashington Post. Era opinione comune.
Quando l’Unione Sovietica si sfasciò, qualche anno dopo, l’Ucraina era la più grande delle 14 repubbliche liberate daldominio russo e molti ucraini vollero seguire la Russia sul cammino di Gorbaciov. «Lo slogan era “In Europa con la Russia”», spiega Roman Szporluk, ex direttore dellUkrainian Research Institute di Harvard. «Quest’idea ormai è superata».
A quasi 25 anni di distanza dalla «casa comune» di Gorbaciov, sembra che Putin voglia rovinare la famiglia europea: è vero che con gli ultimi anni di recessione e austerità l’Europa ha perso un po’ del suo fascino. Ma resta sempre allettante rispetto alla logora economia dell’Ucraina. I dimostranti di Piazza Indipendenza a Kiev rappresentano una generazione che ha studiato, lavorato e viaggiato in Polonia da quando quest’ultima è entrata in Europa, e che non vuole ritirarsi in una qualche reincarnazione dell’impero russo. Alle spalle hanno una fetta significativa dell’imprenditoria.
Può darsi che Putin riesca a catturare l’Ucraina, ma potrebbe finire per rammaricarsene: potrebbe soffermarsi sull’esperienza di Josef Stalin, che annesse l’Ucraina occidentale sottraendola alla Polonia. Stalin pensò di aver avuto una buona idea, ma finì per raddoppiare i suoi problemi: portò gli ucraini politicamente inquieti nella tenda sovietica lasciando la Polonia più forte e più omogenea, libera dai fermenti delle minoranza ucraina.
Analogamente se Putin fa entrare di prepotenza l’Ucraina nella sua alleanza, dovrà pacificare l’opinione pubblica del nuovo paese membro profondendo doni che non può permettersi di fare. Anche in questo caso gli animi dei giovani ucraini eurofili si inaspriranno, alimentando lo scontento già ampio tra la giovane generazione russa. Putin potrebbe imparare che un’Ucraina prigioniera è più un problema che un vantaggio.
(© New York Times News Service — Traduzione di Emilia Benghi)


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