Il fiscalista amico dei Servizi dalla corte di Pollari ai ricatti
ROMA — Chi è Paolo Oliverio? A chi fa paura? E perché? Il tipo, un romano di 47 anni, scalpita in una cella di Regina Coeli e mette a rumore le cronache. “Se parlo io….”. Come un insistito annuncio di tempesta. Che forse arriverà. O forse no. Perché — come dice chi lo teme, e come lui dà a intendere — si vuole sia seduto su una montagna di velenoso fango, di piccoli e grandi ricatti, capace di portarsi via uomini degli apparati (Guardia di Finanza e Servizio segreto interno), qualche politico, manager e imprenditori.
Arrestato il 6 novembre scorso, quattro giorni prima di sposare la quarta donna della sua vita (incinta dell’ultimo di 4 figli avuti da tre donne diverse), Oliverio finisce dentro per sequestro di persona. Impigliato in una storia di malversazioni nel cosiddetto “scandalo dei Camilliani”, ordine religioso di cui è stato procuratore speciale in alcune operazioni immobiliari. L’ultima capriola della sua vita da “sòla”, per dirla in gergo. Se si preferisce, di «truffatore» scaltro, di uomo abituato a una vita trasiticcia e molto al di sopra delle sue possibilità, come lui stesso racconta nel suo interrogatorio a Giuseppe Cascini, il pm che lo ha arrestato. Ma, soprattutto, e nello stresso tempo, di infaticabile tessitore di relazioni. Che coltiva nella Guardia di Finanza, dove negli anni di Speciale frequenta i corridoi nobili del Comando generale, dove mena vanto di godere della benevolenza di Nicolò Pollari (ex direttore del Sismi) e Paolo Poletti (ex capo di stato maggiore e attuale vicedirettore dell’Aisi) e grazie alla quale, per un anno e mezzo (tra il 2009 e il 2010) ottiene un contratto gratuito da “fonte in prova” del nostro Servizio interno (l’Aisi), dove stringe un rapporto di stima e — dice lui — «di amicizia» con l’allora direttore Giorgio Piccirillo. Ma che coltiva anche con famiglie in odore di ‘ndrangheta in quel di Cirò Marina e con politici calabresi che pure quelle famiglie incrociano (come l’ex consigliere regionale del Lazio Vincenzo Maruccio, finito in carcere nel novembre 2012).
Accade così che quando lo arrestano nella casa di 200 metri quadri di piazza di Spagna (dove è in affitto da un ente religioso), i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria, trovino ad Oliverio una pen-drive che dovrebbe essere un archivio da 007 o qualcosa che gli somiglia. Da cui, tra l’altro, saltano fuori un file intestato a un permesso di soggiorno di Sabina Began, l’ape regina delle cene eleganti di Silvio Berlusconi, un documento titolato “estorsione” di cui è oggetto tale Francesca Neri, commercialista, “evidenze” di un fantomatico e in realtà farlocco traffico d’armi di cui viene indicata come fonte un impiegato di Equitalia di Napoli. Ma accade anche che, una volta a Regina Coeli, Oliverio chieda di poter dividere la cella con tale Salvatore Pappaiani, calabrese di Cirò, detenuto per omicidio.
Dunque e di nuovo. Chi è davvero Paolo Oliverio?
Si dice da sempre “fiscalista” senza essersi mai laureato. Si fa conoscere una prima volta alle cronache nell’indagine Imi-Sir come giovane spallone dei 10 miliardi di lire che l’ex giudice Renato Squillante sposta illegalmente in Svizzera (il processo muore per prescrizione a Roma). E leggenda di tribunale vuole che al magistrato, in quella giostra, riesca a soffiare un miliardo e mezzo tondo tondo, sapendo che tanto non potrà denunciarlo. In tempi più recenti, posa ad esperto di antiriclaggio in convegni organizzati dal Monte dei Paschi e intanto offre con la sua srl “P. O.” consulenze “fiscali” a clienti che trasforma in vittime. Con un format costante. Li convince che sono nei guai perché oggetto di verifiche della Finanza. Quindi, li fa convocare da sottufficiali del corpo in una caserma, dove i disgraziati vengono terrorizzati con finti verbali. Poi, il colpo di scena. Una sua telefonata “risolve il problema”. Naturalmente dietro lauto compenso. Come accaduto all’ultimo “pesce” finito nella sua rete nel luglio scorso. Tale Franco Celletti, un imprenditore convocato in caserma e ripassato a dovere da due marescialli in forza al Nucleo tutela dei mercati, Mario Morgini e Alessandro Di Marco (oggi detenuti come lui).
Oliverio è così svelto che la fa persino a un tipo non di primo pelo come Lorenzo Borgogni, già capo delle relazioni istituzionali di Finmeccanica. Gli “secca” qualche centinaio di migliaia di euro, da amministratore della società immobiliare “Reb Venture”, dove entra nel 2012 con il 5 per cento delle quote e che, a quanto pare, svuota dei liquidi destinati al pagamento dell’Iva. «Mi ha fatto fare la figura del bischero — dice ora Borgogni — E l’ho anche denunciato. Ma chi poteva immaginarlo? Si presentò come consulente legato al prestigioso studio Lupi. Partecipava a convegni con il professor Sepio». Se è per questo, tra il 2009 e il 2010, durante il suo “lavoro” per l’Aisi, Oliverio divide il suo studio in un appartamento di via Veneto con il faccendiere Flavio Carboni, cui promette “protezione” dall’indagine P3 che invece lo travolgerà. Un’altra delle sue “sole”.
Ma spesa con il peso di chi poteva dirsi “uomo dei Servizi”. Amico appunto — come riferisce almeno un testimone delle sue cene — di uomini degli apparati come Pollari, Piccirillo, Poletti e, aggiungeva lui per non guastare, De Gennaro. La storia promette di camminare. Ma intanto pone una domanda. Chi ha usato chi? Oliverio i Servizi? O il contrario? E a che scopo?
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