Il capopopolo e la grande firma

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In primo luogo per­ché con­trad­dice quello che il lea­der maximo rite­neva essere l’ “umore del popolo” e in base al quale aveva orien­tato con­te­nuti e toni della sua pro­pa­ganda. Non aveva forse soste­nuto che se l’abolizione del reato di clan­de­sti­nità fosse stata inclusa nel pro­gramma del movi­mento que­sta scelta lo avrebbe pre­ci­pi­tato verso per­cen­tuali irri­so­rie? Il pre­sunto umore della gente è spesso una inven­zione dei capi­po­polo, più qual­cosa da sol­le­ci­tare sulla base dei pro­pri pre­giu­dizi, che non una domanda dif­fusa da rac­co­gliere. E può acca­dere che eventi dram­ma­tici, come il nau­fra­gio di Lam­pe­dusa, rie­scano a fare brec­cia nel muro dell’indifferenza e del cini­smo e a con­tra­stare gli effetti della propaganda.

Poteva imma­gi­nare la Lega che die­tro il cli­ché del padano duro e puro, lavo­ra­tore inde­fesso e severo padre di fami­glia ser­peg­gias­sero aper­ture alla libe­ra­liz­za­zione della can­na­bis? Che l’esperienza di vita finisse col minare la purezza dell’ideologia? Così, più che nella disputa astratta sui pri­cipi della demo­cra­zia, è sulla con­cre­tezza di deter­mi­nati con­te­nuti che l’eterogeneità dei cosìd­detti movi­menti popu­li­sti esplode in vere e pro­prie con­trad­di­zioni, forse insa­na­bili. E la que­stione dell’immigrazione è, da que­sto punto di vista, tra le più decisive.

Se nel mondo a 5 Stelle il pro­blema è posto dalla forte pre­senza di iscritti ed elet­tori delusi da par­titi e movi­menti di sini­stra, ma che hanno comun­que ere­di­tato da quell’esperienza un certo tipo di sen­si­bi­lità, per la Lega, e per la destra più in gene­rale, il pro­blema sono i cat­to­lici ed ora, con il pon­ti­fi­cato di Fran­ce­sco ancor più che in pas­sato, anche i ver­tici della Chiesa.

Se ne lamenta sulle colonne del Cor­riere della Sera dello scorso lunedì, Angelo Pane­bianco, mode­sto ideo­logo di parte padro­nale che però in que­sto caso mette cru­da­mente e util­mente in scena, con l’intento di cele­brarla, la mise­ria della ragion mer­can­tile. Secondo Pane­bianco la com­pre­senza di due prin­cipi incon­ci­lia­bili, quello dell’ “acco­glienza” e quello della “con­ve­nienza”, impe­di­rebbe all’Italia di adot­tare una poli­tica coe­rente dell’immigrazione. Il primo prin­ci­pio deri­ve­rebbe, appunto, dal mondo cat­to­lico, anche se «non tutto», si con­sola l’editorialista del Cor­riere (potremmo esclu­dere senz’altro i lefe­vriani amici del vec­chio Kap­pler). Que­sto sen­ti­mento soli­da­ri­stico e irre­spon­sa­bil­mente uma­ni­ta­rio, senza ordine né argine, indif­fe­rente ai biso­gni del nostro paese e ai pro­fitti che i suoi impren­di­tori si atten­dono, andrebbe senz’altro escluso a favore del secondo.

Una sif­fatta idea di “coe­renza”, che non con­tem­pla media­zioni né cor­ret­tivi, è carat­te­ri­stica delle ideo­lo­gie tota­li­ta­rie tra le quali, anche gra­zie alle delu­ci­da­zioni del poli­to­logo del Cor­riere, si può ormai senz’altro anno­ve­rare quella libe­ri­sta. Impres­siona, comun­que, sen­tire una destra, solita sban­die­rare la dot­trina cat­to­lica in ogni que­stione “eti­ca­mente sen­si­bile”, recla­mare l’autonomia dello stato dalla chiesa solo quando si tratti di immigrazione.

Quanto al prin­ci­pio della “con­ve­nienza”, si trat­te­rebbe di impor­tare selet­ti­va­mente, quando serve e nella quan­tità desi­de­rata, forza lavoro con i requi­siti, tec­nici e antro­po­lo­gici (meglio i cristiano-ortodossi degli isla­mici troppo pro­li­fici). Ma met­tiamo pure da parte l’uso nazio­nal­pa­triot­tico del “noi” con le insor­genze raz­zi­ste che ali­menta, ivi com­presa la cam­pa­gna di inti­mi­da­zione con­dotta dalla Lega e dal suo quo­ti­diano con­tro la mini­stra Cécile Kyenge. Il ragio­na­mento di Pane­bianco conta su una solida tra­di­zione: quella che con­si­dera gli esseri umani come merci sul mer­cato. Così come il petro­lio, il grano o la tec­no­lo­gia avan­zata che gran­de­mente ci difetta, gli esseri umani deb­bono essere impor­tati secondo neces­sità e al miglior prezzo, rispet­tando un pre­ciso cal­colo costi/benefici. Qual­cosa che asso­mi­glia a una ver­sione libe­ro­scam­bi­sta e sala­riata della Tratta. Il pro­blema è però che que­ste donne e que­sti uomini non vogliono essere con­si­de­rati come merci por­tate al mer­cato e segui­ranno, a dispetto di qual­siasi dispo­si­tivo selet­ti­va­mente repres­sivo, la via della pro­pria sal­vezza o del pro­prio benes­sere. Non sono pochi e sono il pro­dotto di gigan­te­schi squi­li­bri globali.

Cosìc­ché, pur lasciando da parte ogni con­si­de­ra­zione di ordine morale, la ricetta bot­te­gaia della “con­ve­nienza” non è solo meschina ma anche del tutto irrea­li­stica. Qual­cuno crede dav­vero che il gover­nic­chio di un paese mar­gi­nale come l’Italia, pian­tato per di più in mezzo al Medi­ter­ra­neo, possa inver­tire con qual­che dise­gno di legge ottu­sa­mente coe­rente pode­rosi pro­cessi sto­rici e il mutare ine­vi­ta­bile della com­po­si­zione delle popo­la­zioni dell’Europa? Che la sua con­ve­nienza la spunti su quella di ben più solidi agenti glo­bali? Pazienza, il mestiere degli opi­nio­ni­sti non è far capire come stanno le cose, ma asse­con­dare, come i capi­po­polo, quello che vor­reb­bero essere l’umore della gente. Salvo il rischio di venirne sono­ra­mente smentiti


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