I ritocchi del segretario per l’intesa: soglia al 4% e premio dal 37% in su

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ROMA — Ventiquattr’ore per l’ultima mediazione. Alle 13 scade il termine per gli emendamenti alla legge elettorale e scatta, per Matteo Renzi, la fase lampo della trattativa finale con i leader dei partiti: «Se riusciamo a chiudere un accordo che tiene, vedrete che ci stanno tutti, anche la minoranza del Pd».
Il segretario tiene le dita incrociate, ma l’ottimismo trapela. Ieri ha lanciato su Twitter un’infografica per «fare chiarezza» sull’Italicum e spazzar via i dubbi degli elettori, spiegando loro che la legge elettorale è solo un tassello di una più ampia riforma istituzionale. Mentre smentisce «strani accordi», Renzi si prende il merito di aver dato una scossa al sistema e respinge i «conservatori che sperano nella palude», tra i quali i renziani dell’ala dura annoverano anche Enrico Letta. «Molti di quelli che criticano sono gli stessi che non hanno fatto nulla in passato — attacca l’inquilino del Nazareno —. Adesso è il momento di dimostrare che cambiare si può. E si deve».
Gli ultimi nodi sono intricati eppure Renzi si sente a un passo da una «riforma storica», che porterà il suo nome. Nel pomeriggio il leader calerà a Roma con la speranza di mettere il suo timbro alla giornata decisiva. E se conta di farcela è perché in tasca ha un «pacchettino» di modifiche che i suoi hanno limato tutto ieri, in un groviglio di contatti con gli «sherpa» delle altre forze. «Serve molta pazienza e responsabilità, ma ci sono le condizioni per chiudere — conferma Lorenzo Guerini, plenipotenziario del leader —. E se tutto va bene chiudiamo anche su programma e squadra di governo».
Le liste bloccate (che non piacciono al premier) non si toccano. Renzi è convinto che gli elettori del Pd abbiano compreso la differenza tra i collegi dell’Italicum e le circoscrizioni del Porcellum, rottamate dalla Corte costituzionale. E nel cerchio ristretto del segretario c’è la sensazione di muoversi «sotto l’ombrello» di Napolitano. «Non è un azzardo il mio — ha spiegato Renzi ai suoi —. Il capo dello Stato ci ha spronati e chiudere e io lavoro per questo». Sulle soglie la formula magica di Renzi è questa: lo sbarramento ai piccoli scende dal 5 al 4 per cento e l’asticella minima per agguantare il premio sale dal 35 al 37. L’ultimo aspetto del «pacchettino» riguarda i collegi, con il via libera ad affidare al Viminale di Alfano la delega per disegnarli, a 15 giorni dalla approvazione della legge. Infine i piccoli partiti, che Renzi, rilanciando un tweet di Pierluigi Castagnetti, sprona a «darsi una mossa per non morire».
E le preferenze? Niente da fare, Berlusconi non le vuole. Ma nel «pacchettino» il sindaco proverà fino all’ultimo a inserire uno strumento che risponde, almeno in parte, alla richiesta di restituire ai cittadini la libertà di scegliersi i parlamentari: le primarie, obbligatorie per legge oppure facoltative su modello toscano. «In questo caso il Pd le farà» è la promessa con cui Renzi conta di placare i fautori delle preferenze.
Adesso quel che preoccupa il segretario è il voto segreto in Aula. Il rischio dei franchi tiratori è ridotto al minimo, ma non scongiurato. Per questo Matteo ha rinunciato alla formula imperativa del «prendere o lasciare», aprendo alle modifiche. «Se tutto il Pd si riconosce in un testo condiviso potremo anche perdere qualche pezzo, ma saranno pochi casi isolati» è stato il suo ragionamento.
I rapporti con Letta restano ibernati, eppure al Nazareno non escludono che il segretario possa vedere il premier anche oggi stesso. E se l’uscita di Brunetta ha rimesso nell’aria il fantasma del voto anticipato, al Pd smentiscono che Renzi stia brigando per ottenere le urne. La prova? «Per realizzare l’intera riforma costituzionale ci vuole almeno un anno». Eppure tra i renziani c’è chi accredita una suggestione assai spinta: la minoranza di Gianni Cuperlo starebbe valutando l’idea di spingere anzitempo il segretario a Palazzo Chigi, dopo aver convinto Letta a fare un passo indietro: una mossa ardita, che consentirebbe agli ex ds di risalire la china e riequilibrare i rapporti di forza interni. Ma Debora Serracchiani, intervistata da Maria Latella su Sky TG24, scaccia l’ipotesi: «Un governo Renzi-Berlusconi senza passare per le urne? Fa parte del teatrino della politica».
Monica Guerzoni


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