by Sergio Segio | 4 Gennaio 2014 9:47
Ne sono passati otto da quando il secondo governo Prodi avviò il complicato e fatale iter parlamentare per l’approvazione dei Pacs-Dico, ovviamente finiti nel nulla. Si potrebbe pensare a un tabù di natura religiosa, in un paese in cui la politica non si è mai liberata dall’influenza e dall’ingerenza del Vaticano. Ma sarebbe riduttivo e in fondo ingiusto, ormai, nei confronti dell’Oltretevere. Con Francesco il papato ha rinunciato a intervenire nella vita pubblica italiana e ha riaperto il dibattito sul tema dei diritti. Ormai è solo la destra italiana a difendere il matrimonio tradizionale come unico baluardo sociale. A parte alcuni gruppi neo fascisti sparsi per l’Europa, per la verità non tutti. Si tratta di un omaggio a un cattolicesimo superato dalla storia, e dallo stesso papa, da parte di cristiani immaginari, tanto rigidi nel difendere la famiglia tradizionale in pubblico e a parole, quanto disinvolti nel demolirla nei fatti e in privato. Da anni non si trova un leader della destra italiana che non abbia divorziato almeno una volta. Lo stesso Berlusconi, alla vigilia del terzo matrimonio, è l’esempio vivente di come si possa vivere e bene ignorando i precetti cristiani e la netta maggioranza dei dieci comandamenti.
La verità è che il ceto politico della seconda repubblica, che da vent’anni si riempie la bocca a destra e a sinistra di una sola parola: riforme, non è in grado di vararne nessuna. Neppure una semplice, civile, europea e a costo zero come questa. Salvo lamentarsi nei talk show che l’Italia ha un disperato bisogno di riforme e prometterle, s’intende, per la prossima volta, dopo l’ennesima elezione. Un trucco che ha imparato in fretta anche il movimento 5 Stelle. In realtà non esiste una sola ragione, come capirebbe un imbecille, per rimandare al prossimo voto le riforme che si potrebbero fare oggi e si dovevano anzi realizzare negli anni Novanta. Ovvero, quando le hanno varate tutti gli altri paesi europei,
governati dalla sinistra o dalla destra. La provocazione ingenua di Matteo Renzi, da questo punto di vista, si rivela molto efficace. Se non ora, quando? Il discorso vale per le unioni civili, come per tutto il resto: la riforma della politica, la legge elettorale, le riforme della burocrazia, della giustizia, del lavoro, del bicameralismo, le leggi contro la corruzione e l’eterna questione del conflitto d’interessi.
Ogni volta però la più gigantesca e trasversale lobby parlamentare, quella della conservazione, rialza la testa e blocca ogni cambiamento. Il conservatorismo puro italiano, ormai svincolato da ogni alibi ideologico, abbandonato perfino dalla chiesa cattolica, travestito di volta in volta con gli abiti del riformismo, del ribellismo, perfino della trasgressione, si oppone a qualsiasi concreto ammodernamento del paese. Nulla deve mutare per evitare il rischio che tutto cambi e quindi si perdano le rendite di posizione del ceto politico vecchio e nuovo. Le scuse per non fare sono infinite. Quella di Alfano, «bisogna prima pensare alle famiglie », è soltanto la più banale, il solito benaltrismo. È vero, bisognerebbe pensare alle famiglie. Ma che cosa ha fatto Alfano, giovane ormai invecchiato al governo, per le famiglie in questi anni?
Chi si è illuso che il partito di Alfano fosse il nucleo originario di una destra italiana moderna ed europea, finalmente liberale, è servito. L’unica differenza fra Alfano e il suo burattinaio è che l’uno vuole rimanere aggrappato al governo e l’altro punta a elezioni anticipate. Per il resto, sono le due facce della medaglia di un conservatorismo assoluto, becero e anti moderno, che ha bloccato l’Italia per vent’anni e promette di paralizzarla per altri ancora, fino al disastro. Bisogna soltanto sperare che in Parlamento si trovi una maggioranza diversa, che assomigli a un paese reale dove certi principi, certi diritti si sono affermati già da tempo nelle coscienze, oltre e contro la rappresentanza politica.
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