Guerra alle diseguaglianze

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Obama ha pronunciato ieri il suo sesto (o quinto, contando solo quelli ufficiali) discorso sullo Stato dell’Unione. Per alcuni si tratta di un evento rituale, ma quest’anno il discorso potrebbe marcare una svolta politica e non soltanto per gli Stati Uniti.
Poche settimane fa Obama ha definito la disuguaglianza economica la «questione decisiva del nostro tempo» e gli ulteriori dati di cui siamo venuti a conoscenza nel frattempo rafforzano questa valutazione, non soltanto per gli Stati Uniti. Non sorprende, quindi, che, secondo le anticipazioni della Casa Bianca, la disuguaglianza sia diventato uno dei temi centrali del discorso e, soprattutto, che Obama abbia deciso di non limitarsi a denunciare il fenomeno e di proporre alcune concrete misure. La più concreta di queste misure sarebbe l’innalzamento del salario orario minimo da 7,25 a 10,10 dollari e il suo adeguamento automatico con l’inflazione. Di elevare il salario minimo si è discusso e si discute anche in Europa. Si può ricordare, ad esempio, la decisione presa in Germania per iniziativa dei socialdemocratici e la discussione che si sta svolgendo anche in Gran Bretagna. La grande maggioranza degli economisti valuta positivamente questa misura, soprattutto da quando alcuni studi hanno mostrato che i temuti effetti negativi sull’occupazione non si sono verificati nei casi di fissazione del salario minimo a un livello «ragionevole». Per questo anche l’Economist di recente si è espresso in modo favorevole.
Elevare il salario orario minimo significa contrastare il fenomeno dei working poor che anche negli Stati Uniti è diffuso: in particolare, più di un lavoratore part-time su quattro si troverebbe al di sotto della soglia della povertà. Inoltre, la domanda di consumo potrebbe crescere con effetti positivi sulla produzione e sull’occupazione.
Questa misura opera sulla parte bassa della distribuzione; essa non tocca i redditi più elevati, che sono anche quelli cresciuti di più negli ultimi anni, e per questo la proposta di Obama potrebbe apparire timida. In effetti così è, ma per esprimersi compiutamente su questo, non può essere elusa la questione della realizzabilità politica delle misure di contrasto alla disuguaglianza.
E a questo riguardo c’è una importantissima qualificazione da fare. La misura, secondo quello che finora sappiamo, non riguarderà tutti i lavoratori e quindi di essa non potranno beneficiare i circa 20 milioni di lavoratori americani che vengono retribuiti meno di 10 dollari l’ora. Al contrario, Obama la proporrà soltanto per i lavoratori di imprese titolari di appalti del governo federale. La ragione è molto semplice: il Congresso a maggioranza repubblicana si è già espresso contro e Obama, non volendo rinunciarvi, usa i suoi poteri di Presidente per applicare la misura soltanto a coloro che producono beni e servizi per l’Amministrazione. Il conflitto è, dunque, evidente e le prime reazioni dei Repubblicani, che parlano di abuso di poteri e violazione della Costituzione, preludono a un suo aggravamento. La «modestia» della proposta di Obama va giudicata alla luce delle resistenze che lo schieramento politico conservatore oppone all’adozione di misure di riduzione della disuguaglianza, anche soltanto quelle che operano sulla parte bassa della distribuzione, senza sfiorare i redditi più alti. Dalla parte di Obama sembra però esserci la stragrande maggioranza degli americani: oltre i tre quarti sarebbero favorevoli all’innalzamento dei salari minimi, secondo diversi recenti sondaggi. Siamo di fronte a una buona esemplificazione dell’affermazione secondo cui la disuguaglianza è un problema politico che ha anche importanti risvolti per il funzionamento della democrazia.
Per questo merita particolare attenzione il sesto discorso di Obama sullo Stato dell’Unione e ancora di più la meritano gli sviluppi che ci saranno. Essi ci diranno se quel discorso avrà contribuito, come in alcuni altri casi della storia, a marcare un significativo cambiamento, non soltanto nella percezione di quanto grave sia il problema delle disuguaglianze, ma anche nell’effettiva possibilità di farvi fronte con equilibrio e senso di giustizia. E non solo negli Stati Uniti.


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