Europa a caccia della nuova crescita Davos ascolta la lezione giapponese

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DAVOS — Il mondo a lezione da Shinzo Abe. O almeno così vorrebbe il premier giapponese che si presenta sul palco del World Economic Forum di Davos come il candidato leader della ripresa occidentale. Lo dice con una battuta: «Il mio cognome è diventato una formula, “l’Abenomics”, ma continuerò a usarlo».
È la prima giornata del vertice tra capi di governo, banchieri, manager e imprenditori tra le Alpi svizzere. Rispetto agli ultimi appuntamenti, oppressi dalla crisi finanziaria, si coglie qualche segnale di ottimismo, sia nei dibattiti sia nelle conversazioni private. Certo, a parte la Germania, l’Unione europea è sempre in difficoltà. Con una nota di allarme particolare per la Francia e una certa apertura di credito nei confronti dell’Italia. La disoccupazione resta la parola più citata. Ma almeno l’analisi degli esperti e gli annunci dei politici si stanno spostando dal territorio dell’austerità a quello del rilancio. Il premio Nobel Michael Spence, insieme con altri economisti, ha preparato uno studio sui «Nuovi modelli di crescita». Un lavoro che ancora fino all’anno scorso sarebbe stato semplicemente fuori tema.
Se è così diventa comprensibile la scelta di assegnare a Shinzo Abe la copertina di questa edizione. Il Giappone ce l’ha quasi fatta, è l’opinione largamente condivisa, dunque, vediamo che cosa può insegnare a tutti gli altri.
Abe, però, è un personaggio complesso, non riducibile a una visione economica, per quanto audace e innovativa. Il “suo” Giappone deve essere in grado di recuperare centralità politica nell’area, a costo di entrare in rotta di collisione con il grande vicino, la Cina. Come dimostra la contesa sugli isolotti disabitati di Senkakus (versione giapponese) o Diaoyus (cinese).
«Il Giappone e la Cina si trovano in una condizione simile a quella di Gran Bretagna e Giappone nel 1914», ha dichiarato ieri Abe in un’intervista con il quotidiano «Financial Times». Basterebbero queste parole per macchiare le slides sui progressi economici che lo staff del primo ministro ha distribuito ai giornalisti.
Sul palco di Davos il leader di Tokio ha voluto tenere insieme strategie diplomatiche e aperture economiche. Con una qualche enfasi ha lanciato «un appello all’Asia», sostanzialmente alla Cina: «Rendiamo trasparenti i nostri bilanci militari, negoziamo nuove regole sulla navigazione, stabiliamo un canale di comunicazione diretto tra i nostri eserciti». Non prima, però, di dilungarsi sulla «caccia alla crescita» condotta con un modello «a tre frecce». Ecco i titoli: «una coraggiosa politica monetaria», cioè continue iniezioni di liquidità nel sistema per sbloccarlo da un periodo di deflazione (depressione e contrazione dei prezzi) durato 15 anni. Poi: «Politica fiscale flessibile», con massicci interventi pubblici (circa 20 mila miliardi di yen a regime, circa 142 miliardi di euro). Infine: «Promozione degli investimenti privati» e «rafforzamento della partecipazione delle donne alla forza lavoro». Il punto di partenza è già fuori dalla portata di molti Paesi europei: il 68% delle donne tra i 25 e i 44 anni prende parte alla produzione (l’Italia è al 46%). L’obiettivo è di portare la percentuale al 73% entro il 2020. Questo «Giappone vibrante», è la conclusione di Abe, potrebbe offrire ulteriori opportunità di crescita a Cina, Corea del Sud, India; dare slancio alla rincorsa degli Stati Uniti e, di rimbalzo, rianimare anche lo stagno europeo.
Anche nella nostra parte del mondo si prova a ragionare su leve simili. Perfino il vice direttore generale del Fondo monetario, Min Zhu, invoca uno sforzo straordinario di politica fiscale, cioè investimenti pubblici, per andare oltre l’insufficiente 1% di crescita media europea. L’economista americano Kenneth Rogoff sollecita i governi Ue a concordare misure di integrazione più aggressive, mettendo mano, se è il caso, anche alla ristrutturazione dei debiti pubblici. Tocca alla politica aprire «la caccia alla crescita», o meglio a governi con piani perseguiti con forza. Questo è il segnale del primo giorno di Davos, nel segno del Giappone (quasi) rinato.
Giuseppe Sarcina


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