by Sergio Segio | 16 Gennaio 2014 8:08
ROMA — Ogni cosa che facciamo inquina. Ogni cosa, respirare, contrarre un mutuo, lascia un’impronta di anidride carbonica sul mondo. Dice Mike Berners- Lee che se andiamo avanti così serviranno due mondi già nel 2050. Ma se da una parte farsi prendere dallo sconforto produce in sé Co2, dall’altra l’ambientalista inglese è convinto che si potrà vivere su una terra a basse emissioni solo disegnando su misura la propria vita ambientale senza profluvi di precetti, né tentativi di respirare meno. Con una puntigliosità tutta anglosassone l’esperto di “carbon footprinting” ha scelto di offrire esempi consapevoli e nel suo libro — “L’impronta”, Edizioni Terre di mezzo, 15 euro — ha misurato la quantità di emissioni prodotte da 106 oggetti e sistemi: una e-mail, una guerra. Ogni cosa ha il suo peso specifico e la sua responsabilità e, comunque, «il cambiamento climatico è una questione seria, è causato dall’uomo e possiamo affrontarlo».
Anche una e-mail inquina, si diceva. E così il libro “L’impronta”. Inquinano di più, tuttavia, gli amici-lettori dell’autore inglese che, per aiutarlo, hanno prenotato il volume da Amazon: il grossista mondiale di cultura, spostando tonnellate di cultura dai suoi ipermagazzini, produce tanta anidride carbonica. Se un anno di e-mail inviate da ciascuno di noi garantisce anidridi pari a 300 chilometri in auto, una singola mail con un noioso allegato “pesa” sul mondo dodici volte tanto una semplice comunicazione. E allora?
«Se avete l’abitudine di scrivere e-mail mettendo in copia diverse persone solo per poter dire di averle informate, l’impronta di carbonio vi dà un’altra buona ragione per smettere di farlo».
Un individuo sobrio produce 10 tonnellate l’anno di anidride, ma la metà di quell’inquinamento lo regala all’umanità al primo viaggio intercontinentale. Fare 11 volte la tratta Londra-Hong Kong, e qui i sensi di colpa salgono, significa condannare a morte un simile in qualche parte del mondo. L’impronta di carbonio lasciata da un’automobile non comprende solo le emissioni del tubo di scappamento, ma anche quelle generate dall’estrazione, dalla spedizione, dalla raffinazione e
dal trasporto del petrolio, dalla fabbricazione dell’auto, dalla sua manutenzione. Milleseicento chilometri con un mezzo a consumi medio-alti rilasciano 800 chili di Co2 e pure un Intercity lascia forti impronte. Quasi niente una bici pieghevole. Guardare 12 ore la tv inquina poco, anche perché poi non avremmo tempo per fare altro (esalando anidridi). La lucetta rossa accesa inquina un minimo: «Spegnete l’interruttore tv se potete», dice Berners-Lee, «ma non ne siate ossessionati».
Poi ci sono le sorprese, e i luoghi comuni sfatati. La cosa migliore è lasciare che sia l’aria ad asciugare le nostre mani appena lavate. Se le gocce che corrono nell’incavo proprio ci danno fastidio, meglio usare un potente asciugatore da autogrill (il Dyson Airblade che spinge l’aria con più forza senza riscaldarla) piuttosto che un asciugamano di carta, tre volte più inquinante. Una doccia elettrica è più impattante del bagno, meno se alimentata a gas. D’altronde per le tre persone di famiglia l’autore usa la stessa acqua nella vasca: «Chi si è rotolato nel fango entra per ultimo». Già, «molti di noi potrebbero dimezzare le quantità di carta igienica senza incorrere in alcun effetto collaterale». Per intiepidire il latte meglio il bollitore della pentola sul fuoco. Lavare i piatti con il getto freddo è senza emissioni, ma è preferibile la lavastoviglie a 55 gradi che molta acqua calda per molti minuti a mano.
Un cheeseburger? Inquina come trenta chilometri in treno. Mike Berners-Lee offre i cibi di stagione mese per mese, indica le nove cose da fare, ma ricorda che bisogna avere senso delle proporzioni. Perché noi non ci asciughiamo le mani, infiliamo tutta la famiglia insieme in vasca, mangiamo tante banane, meglio se deformi, e poi arriva un mondiale di calcio (quello in Sudafrica) e da solo mette in circolo 2,8 milioni di tonnellate di Co2.
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