by Sergio Segio | 27 Gennaio 2014 8:38
ROMA — Alla vigilia della settimana decisiva per la legge elettorale tutti e tre gli azionisti dell’«Italicum» (Pd, FI e Ncd) cercano di non rimanere con il cerino in mano. L’affondo più pesante (poi in parte rettificato in serata) è quello del capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, che va in tv per dire che «se si fa la legge elettorale si va a votare…Quando si carica una pistola, la pistola poi spara…». A quel punto tutto il Pd, che ieri ha raggiunto un compromesso tra la segreteria di Renzi e la minoranza bersaniana su un pacchetto di 20 emendamenti al testo base, sfrutta il passo troppo lungo di Brunetta per ricordare che i termini dell’accordo sono ben più ampi: «Forse Berlusconi non ha avuto il tempo di informare Brunetta — replica Lorenzo Guerini, portavoce del sindaco di Firenze — che l’accordo prevede legge elettorale, superamento del Senato, riforma del Titolo V. Il capogruppo plachi i suoi bollenti spiriti, nessuna corsa al voto. Prima vengono le riforme costituzionali di cui il Paese ha bisogno».
Così dopo molte ore trascorse alla Camera a studiare gli ultimi, fondamentali dettagli della legge elettorale, tocca a Denis Verdini rassicurare il Pd. Il ritorno al voto dopo il varo della legge elettorale? «Non è argomento in discussione», risponde il plenipotenziario del Cavaliere. Ma tanto per essere chiari, Verdini puntualizza anche che le richieste di Alfano e in parte del Pd di cancellare le liste bloccate sono irricevibili: «Ci sono le liste corte, non c’è spazio» per le preferenze. Ma il capogruppo Enrico Costa annuncia che il Nuovo centrodestra presenterà l’emendamento sulle preferenze, oltre a quello sulle candidature multiple, e Angelino Alfano tira in ballo direttamente il premier Letta che si era detto favorevole alle preferenze: «Il presidente del Consiglio è espressione del Pd. E se il Pd sostiene Letta il governo va avanti. In caso contrario no. Si riuniscano e decidano cosa fare».
Insomma, il braccio di ferro a tre sulla legge elettorale continua. Il Pd — per un giorno non attraversato dalla polemiche interne — concorda dunque una ventina di «emendamenti unitari» presentati a firma di più deputati: si tratta delle proposte di modifica sullo sbarramento per i piccoli partiti non coalizzati (passa dall’8% al 5%), sulla soglia per accedere al premio di maggioranza (dal 35% al 37% o al 38%), sulle liste bloccate (temperate dalle primarie previste per legge, ma ci sono a perdere anche gli emendamenti sulle preferenze e sui collegi uninominali), sulla rappresentanza di genere (più equilibrata e senza trucchi) e, dulcis in fundo, sulla delega al governo per disegnare entro tre-quattro mesi i collegi plurinominali per evitare che in Parlamento si apra il «Suk delle trattative». Ci sarà anche un emendamento sul voto per gli studenti dell’Erasmus.
Il termine scade oggi alle 13 e il Pd di Renzi si presenterà in prima commissione (Affari costituzionali) compatto, con una «batteria» di emendamenti confezionati in casa che poi, prima del voto, verranno presentati al tavolo dell’ultima trattativa con Berlusconi e Alfano. Il punto di caduta sembra poter soddisfare tutti, compresa, dunque la combattiva minoranza del Pd che incasserebbe svariati punti (non le preferenze, però) mentre il segretario porterebbe a casa una sostanziale disciplina del gruppo presieduto da Roberto Speranza, nel quale è in minoranza.
Ci sono volute cinque ore di confronto serrato tra i «lealisti» vicini al segretario Renzi — guidati da Maria Elena Boschi, Gianclaudio Bressa, Emanuele Fiano e Matteo Richetti — e gli altri componenti democratici della I commissione che appartengono in maggioranza all’area Bersani-Cuperlo. Il «clima è stato molto sereno», ha detto la deputata Boschi (membro della segreteria), «si è discusso di soglia, di preferenza e di rappresentanza di genere…domani (oggi,ndr ) alle 13 presenteremo le nostre proposte di miglioramento e poi, prima, dell’inizio del voto in commissione cercheremo una sintesi politica».
Insomma le posizioni tra Renzi (che deve rimanere nel perimetro tracciato d Berlusconi) e la minoranza del Pd sembrano meno distanti. Così nel lungo confronto svoltosi in una Camera deserta, i bersaniani hanno conquistato alcune significative posizioni: hanno parlato, oltre al capogruppo Speranza, Andrea Giorgis, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre, Rosy Bindi, Enzo Lattuca, Giuseppe Lauricella e i lettiani Marco Meloni e Francesco Sanna. Tutti hanno chiesto che il Pd faccia sentire la sua voce unitaria perché, conferma Giorgis, i tre punti dell’accordo sono saldamente legati. E noi vogliamo tenere insieme il trittic o».
Dino Martirano
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