Bollette, debiti fantasma e fornitori mai pagati Il primato di Campania, Calabria e Sicilia

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ROMA — Alla fine del 2012 l’azienda di trasporto pubblico del Comune di Palermo aveva 70 milioni di debiti con i fornitori: cifra pari all’intero costo annuale dei suoi 1.700 dipendenti, al 170 per cento dei ricavi di un anno, a quasi il triplo dell’indebitamento bancario e a sette volte e mezzo l’incasso di tutti i biglietti venduti. Risalendo la penisola fino a Napoli, ecco la Circumvesuviana. L’ultimo bilancio disponibile (2009) prima della fusione con altre disastrate aziende di trasporto campane, decretata un annetto fa, riportava debiti commerciali per 115 milioni, cifra addirittura superiore all’introito del contratto di servizio (111 milioni) pubblico, e pari al quintuplo dei ricavi dai viaggiatori. Ancora più su e si arriva a Roma, dove le sole municipalizzate Atac e Ama erano indebitate con i fornitori, alla fine del 2012, per qualcosa come 637 milioni.
Dicono tutto, questi numeri. Dicono per esempio quanto la faccenda dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione sia complessa: tanto è vasto il mondo in cui sono disseminati. Non solo lo Stato, ma anche le Regioni e Asl quali quelle calabresi: il cruccio di Telecom Italia. E poi le Province: come quella di Palermo, che deve pagare bollette elettriche arretrate per 1,6 milioni. E poi i Comuni: tanto che un anno fa a Genova stavano per staccare la luce allo stadio, mettendo a rischio la partita Genoa-Roma. E poi i consorzi di bonifica: tipo quello di Catania, indebitato per tre-milioni-tre con l’Enel. E poi le migliaia di aziende controllate dagli enti locali, e controllate delle controllate, dove si possono trovare situazioni che lasciano letteralmente basiti. Una per tutte l’Atm di Messina, i cui bilanci non vengono depositati alla camera di commercio dal 2001 e addirittura per anni non sono stati approvati dal suo proprietario, cioè il Comune: con il risultato che i debiti dell’azienda di trasporto municipale sono debiti fantasma.
Vicende che rendono se possibile ancora più evidente quanto questa partita che sta giocando il governo di Enrico Letta sia difficile. Anche a dispetto di dati che possono apparire confortanti. Il monitoraggio dei 27 miliardi e 458 milioni, messo in moto per il 2013 dalle leggi per il pagamento dei creditori e dagli accordi con Bruxelles, informa che al 29 novembre dello scorso anno ne è stato reso disponibile circa l’89 per cento. In tutto 24 miliardi e 416 milioni, di cui 16 miliardi 281 milioni già materialmente utilizzati per i pagamenti dei fornitori. Un bel passo avanti , direte, ricordando i fallimenti a ripetizione, gli imprenditori rovinati dallo Stato debitore incallito che però pretende le tasse, con drammi sfociati in suicidio. Peccato che al Sud restino ancora un bel po’ di problemi. Lo denuncia chiaramente il sito internet del ministero dell’Economia che mette bene in evidenza tutte le cifre e gli stati di avanzamento dell’operazione rientro aggiornati al 29 novembre 2013. «Circa 1,5 miliardi ancora non erogati per la prima fase sono destinati a tre Regioni che non hanno ancora completato gli adempimenti necessari a ottenere il finanziamento». Ovvero: Calabria, Campania e Sicilia. D’obbligo ricordare che la «prima fase» si riferisce ai 20 miliardi stanziati dal decreto 35 dell’8 aprile 2013. Approvato dunque otto mesi fa.
Del resto è sufficiente scorrere le tabelle pubblicate nel sito per avere conferma che qualcosa non va. Per i debiti non sanitari la Calabria si è vista assegnare una prima tranche di 101 milioni, ma la verifica dei relativi adempimenti si è risolta positivamente per soli 73 milioni. Poi da Catanzaro hanno sorprendentemente comunicato di voler persino rinunciare alle anticipazioni per il 2014. Non male, per una Regione dove il solo Comune di Reggio Calabria era riuscito prima del commissariamento ad accumulare fatture dell’elettricità non pagate per 20 milioni. Invece la Campania, che quest’anno avrebbe diritto a 865 milioni, ha esibito al ministero dell’Economia un piano di pagamenti per soli 241 milioni. E l’anno scorso non si è vista erogare 70 dei 586 milioni previsti, peraltro con un accordo firmato soltanto il 4 novembre 2013, causa la mancanza del rendiconto regionale 2012. Mentre la Sicilia, destinataria di quasi 207 milioni a valere sulla seconda tranche 2013, non ha presentato alcuna richiesta. Né la situazione è migliore per i debiti della sanità. La Regione siciliana, con 606 milioni a disposizione per la sola prima tranche 2013, al 29 novembre scorso non avrebbe ancora fatto alcun pagamento. Il motivo? «Atti regionali in corso di elaborazione», spiega il sito ministeriale.
La solita burocrazia, ovvio. Ma è davvero tutta sua la colpa? O non piuttosto del disordine in cui versano certe contabilità periferiche, dell’impreparazione, dell’incapacità, di superficialità o sciatterie dei singoli? Per non dire di peggio. Ci sono amministrazioni che hanno serie difficoltà a certificare i debiti, visto che li hanno fatti «fuori bilancio», cioè senza avere la copertura. Il che potrebbe tirare in ballo, evidentemente, anche pericolose responsabilità erariali.
Ma a incidere sulle lungaggini è anche il fatto che una grossa fetta dell’indebitamento, come già accennato, riguarda soggetti a valle di Regioni, Province e Comuni: enti, società di servizi, aziende sanitarie. Un problema enorme soprattutto per i tre principali fornitori delle pubbliche amministrazioni, il cui fatturato pubblico si aggira intorno ai 3 miliardi e mezzo. Più volte nei mesi scorsi i responsabili di Eni, Enel e Telecom Italia si sono incontrati con i tecnici del ministero dell’Economia per affrontare la questione. Snocciolando numeri da brivido. Dai 250 milioni di crediti dell’Enel, quasi tutti con le municipalizzate, al miliardo o giù di lì di Telecom Italia. Con un paio di preoccupazioni.
La prima: che i soldi tirati fuori per pagare le loro fatture vecchie anche di anni nei vari passaggi di mano possano, chissà, pure finire altrove. La seconda: che l’andazzo possa continuare anche se questa emergenza venisse risolta una volta per tutte, e che l’obiettivo di allinearsi alle normative europee, con tempi di pagamento fissati a 30 e 60 giorni, sia in realtà irraggiungibile. Ancora oggi le amministrazioni che non sono in difficoltà finanziarie onorano i propri impegni mediamente in sei mesi.
Al ministero dell’Economia confidano nell’obbligo della fattura elettronica. Da giugno 2014 scatterà per i fornitori dello Stato centrale. Un anno dopo, nel giugno 2015, toccherà anche a quelli delle amministrazioni periferiche. Più trasparenza, più rapidità nella contabilizzazione e soprattutto nei controlli. Almeno sulla carta. Sempre che i furbetti del debitino fuori bilancio non si facciano ancora più furbi.

Sergio Rizzo


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