A Lampedusa per rompere il confine
Quanta gente è passata da Lampedusa in questi anni. Tanti turisti, tanti migranti, ma anche tanti personaggi indesiderati, seguiti da scorte e da giornalisti, pronti a versare lacrime davanti alle telecamere e a dispensare promesse mai mantenute. Ma questa volta no. Questa volta Lampedusa sarà il centro di un’altra storia.
È gennaio e sono arrivati in tanti, giovani e meno giovani, donne e uomini. Hanno scelto di incontrarsi qui perché, nonostante la strage del 3 ottobre, l’Europa non ha smesso di investire miliardi nella politica del confine. Sullo sfondo, una vera e propria geografia della morte, disegnata con il denaro di tutti, che negli ultimi venticinque anni ha causato perlomeno ventimila vittime. Da domani 31 gennaio a domenica 2 febbraio daranno vita a tre giorni di lavoro intensi, fatti di assemblee ed incontri, di discussioni e confronti, per scrivere quella che si chiamerà «la Carta di Lampedusa». Un patto Euromediterraneo che parte da questo luogo condannato e abbandonato dai governi di ogni colore, per lanciare la sfida ai confini dell’Europa.
Tra i promotori della Carta di Lampedusa c’è Melting Pot. Incontriamo Nicola Grigion sull’isola già da qualche giorno. «Questa è una grande occasione per ripartire insieme — spiega -. La Carta nasce dopo una tragedia, ma è frutto di un decennio di battaglie antirazziste, un patrimonio costruito dalle lotte dei migranti e da chi si è opposto all’uso del diritto come strumento da imporre con l’arbitrio. E può diventare un vero e proprio patto costituente, un orizzonte comune dentro cui muoversi in molti e diversi». I temi scottanti ci sono tutti. La bozza di documento che verrà discussa non lascia spazio ad ambiguità e combina spinte utopiche ad una giusta dose di concretezza. Non è però una proposta di legge. Apre dei campi di tensione che nei prossimi mesi saranno al centro dell’agenda dei movimenti e probabilmente anche della politica. Ci sono le elezioni europee e, per forza di cose, tutti dovranno fare i conti con la questione migrazioni. «Il periodo elettorale rischia di regalarci una sequenza di annunci e retoriche — continua Grigion — ma può essere anche una grande occasione per i movimenti per aprire dei varchi. L’Europa, così come l’abbiamo conosciuta finora, si fonda sulla gestione dei confini. Ma noi non possiamo più accettare uno spazio europeo in cui esiste una gerarchia della cittadinanza, perché in questa vicenda vengono meno i diritti di tutti».
L’appuntamento sull’isola raccoglie un ampio spaccato del variegato arcipelago dei movimenti e dell’antirazzismo. Una composizione meticcia, fatta di piccole e grandi associazioni, di centri sociali ed altre realtà auto-organizzate, di movimenti per la casa e sindacati, di Ong e centri culturali, di media indipendenti e collettivi studenteschi. Ci sono i rifugiati che da mesi sono accampati in piazza ad Amburgo ed i parenti delle vittime dei naufragi del 2011, c’è il mondo laico e quello religioso, ci sono docenti e giuristi. Sono tanti, diversi, ma anche in questi giorni, in cui la politica italiana discute l’ipotesi di cancellazione del reato di clandestinità, non sembrano aver voglia di accontentarsi delle briciole. Vogliono andare fino in fondo. Come Pamela Marelli, dell’Associazione «Diritti per Tutti». In questi anni, a Brescia, è stata al fianco dei migranti che hanno lottato contro la sanatoria truffa e per il diritto alla casa. Trova che l’evento sia un fatto inedito. «Ricordo che, dopo la strage del 3 ottobre, tutti i politici giuravano che la Bossi-Fini sarebbe affondata assieme a quel barcone. Ed invece siamo ancora qui ad aspettare qualcosa di concreto. Ora tocca a noi dare un segnale forte. Un segnale dal basso e allargato. Finalmente, Lampedusa non sarà più solo l’isola delle emergenze ma un vero e proprio trampolino per una nuova Europa». Anche il processo che ha portato alla costruzione dell’incontro ha avuto risvolti innovativi. Nulla a che vedere con la democrazia della rete tanto cara al M5S. Le assemblee si sono svolte on-line grazie ad un sistema di web-conference messo a disposizione da Global Project. E da oltre settanta città italiane centinaia di persone hanno partecipato a discussioni accese per preparare l’evento. La stessa bozza della Carta è stata redatta da un’infinità di mani attraverso una piattaforma di scrittura condivisa. La tre giorni si aprirà domani pomeriggio con Giusi Nicolini, Sindaco di Lampedusa, che insieme a studenti, associazioni ed abitanti dell’isola, racconterà la vita quotidiana di chi vive al centro delle rotte forzate del Mediterraneo, un luogo dimenticato da tutti, dove in pochi giorni può nascere una struttura militare ma non c’è modo di sistemare la scuola o di costruire un vero ospedale. Sabato invece l’intera giornata sarà dedicata alla stesura definitiva della Carta; mentre per domenica mattina è prevista l’assemblea plenaria in cui si discuterà una possibile agenda comune per i mesi futuri. Ed è proprio la ricerca di un orizzonte unitario ad essere il vero punto centrale della Carta di Lampedusa. Perché se la tragedia del 3 ottobre ha reso evidente il fallimento e la violenza delle politiche in materia di immigrazione, ha anche reso necessario un nuovo inizio ai movimenti che contro quelle politiche si sono battuti da sempre. «Da vecchio comboniano — dice Alberto Biondo dei Laici Missionari di Palermo — lasciatemi dire che trovo questo progetto sacro. Se la politica si permette di fare le porcherie che fa, e prendere in giro i cittadini, è perché siamo disgregati. Uniti invece facciamo paura». Ed anche Edda Pando, di Arci Todo Cambia e Prendiamo la Parola, è sulla stessa lunghezza d’onda. «Dobbiamo uscire da questo eterno essere minoranza e costruire un pensiero che diventi maggioranza. Il problema è quello di trovare delle convergenze. Il che non significa giocare al ribasso. Ma sono vent’anni che non vinciamo niente e, anche al di là delle tragedie che si susseguono, le condizioni dei migranti peggiorano di giorno in giorno». Ma come accoglierà la gente dell’isola l’invasione di questa moltitudine di persone che non ha timore di dire che vuole cambiare l’Europa? «Nel 2006 arrivammo a Lampedusa in 600 e gli isolani non volevano farci sbarcare — racconta Alfonso Di Stefano della Rete antirazzista catanese — dopo dieci giorni di lavoro e confronto si unirono a noi in un corteo contro il Cie. Capirono che i loro diritti e quelli dei migranti non sono contrapposti, anzi». Tra i temi caldi c’è quello della militarizzazione dei territori che, a Lampedusa come nel resto della Sicilia, è all’ordine del giorno. «Credo sia importante dire questo: accogliamo i migranti ed espelliamo le basi» — aggiunge l’attivista di Catania.
Ognuno con il suo punto di vista, ognuno con la sua ambizione, tutti con un’incredibile voglia di rimettersi in gioco in quello che si candida ad essere un possibile nuovo spazio pubblico. Ma se qualcuno pensa a questo documento come una tra le tante dichiarazioni dei diritti scritte nel secolo scorso e poi rimaste sulla carta, si sbaglia di grosso. La sfida più importante è proprio quella che si giocherà nei prossimi mesi, quando la Carta di Lampedusa dovrà misurarsi con la sua possibilità di essere realizzata. «Nessuno ci regalerà nulla — conclude Grigion — la Carta di Lampedusa non è una sintesi, ma un motore, una spinta a costruire con linguaggi diversi un orizzonte comune. Il nostro futuro è fatto di battaglie concrete contro i confini, quelli che uccidono, come a Lampedusa, ma anche quelli che costringono tutti noi a vivere in un’ Europa fatti di ricatti, austerity ed esclusione. Si apre un terreno di ricerca vero e collettivo. Tutti dicono di volere un’altra Europa ma non ci sono scorciatoie. Per costruirla dobbiamo essere in tanti e noi iniziamo a farlo da Lampedusa».
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