Il nuovo razzismo è etnico-culturale

by Sergio Segio | 31 Gennaio 2014 10:25

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Gli ebrei ai primi posti in molte professioni, dalla medicina al cinema? Formalmente questi discorsi in America sono tabù, il rischio del pregiudizio razziale è sempre dietro l’angolo. Ma nelle conversazioni informali la gente di questo parla spesso.
Adesso un sasso sul delicato mosaico della società multietnica lo lancia la giurista di Yale Amy Chua, la «mamma tigre» che due anni fa fece scalpore con un saggio sulla asserita superiorità delle madri cinesi che, attivissime e inflessibili nell’educazione dei figli, li farebbero crescere molto più preparati alla dura competizione del mondo globalizzato. In The Triple Package , un nuovo libro scritto stavolta col marito, Jed Rubenfeld, anche lui docente a Yale, la Chua va alla ricerca delle cause del successo di certe etnie rispetto ad altre negli Usa. Per arrivare alla conclusione che a vincere non è una razza sull’altra ma gruppi che sono riusciti a costruire condizioni particolari. E quindi certamente gli ebrei, ma anche i mormoni. E in Asia, insieme a cinesi e indiani, anche gli iraniani. Quanto ai neri, certo hanno i loro problemi: ma non i nigeriani e i ghanesi che hanno una marcia in più. Stessi discorso, tra gli ispanici, per i cubani. Grandi sconfitti i Wasp , i bianchi anglosassoni protestanti: sono stati fin qui l’aristocrazia del capitalismo yankee, ma stanno perdendo rapidamente terreno.
Il libro deve ancora uscire in libreria, ma già provoca aspre polemiche. È bastata l’anticipazione del New York Times che gli ha riservato la copertina della Sunday Review , per incendiare gli scienziati sociali di professione. Finiamola coi silenzi imbarazzati, guardiamo in faccia la realtà, dicono gli autori. Secondo i quali la chiave del successo è uno strano miscuglio di convinzione di essere superiori e paura di restare indietro, unito a una forte capacità di sacrificarsi e controllare i propri impulsi. Per convincere, i due snocciolano una gran mole di dati. Come quelli della Stuyvesant High School di New York, il liceo pubblico dell’eccellenza scientifica dove gli studenti sono selezionati con test severi: la frequentano 9 ragazzi neri, 24 ispanici, 177 bianchi e 620 asiatici.
Balle, insorgono già molti studiosi. Alcuni si limitano ad accusare i due giuristi di aver prodotto analisi superficiali, arrivando a conclusioni arbitrarie. Per altri Triple Package è il manifesto di un nuovo razzismo nel quale il colore della pelle è sostituito dai tratti culturali delle diverse etnie. «I nuovi razzisti sono troppo furbi per denigrare in blocco un gruppo etnico» nota sul settimanale Time Suketu Metha, un americano nato a Calcutta. «Lodano certe culture sulla base del presupposto, a volte enunciato chiaramente, a volte no, che altre culture sono inferiori».
Non è la prima volta. In un libro del 1916 sulla razza Madison Grant, citato da Metha, sostenne la superiorità degli immigrati nordeuropei rispetto a quelli provenienti dall’Italia e dal resto dell’Europa mediterranea. Mentre ancora nel 1959 lo studioso Bernard Rosen sosteneva che negli Usa protestanti, ebrei e greci si impegnano molto più degli italiani e dei franco-canadesi. La storia si ripete.

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