“Io prete di strada con Bergoglio così Francesco cambierà la Chiesa”

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CITTÀ DEL VATICANO — Don Luigi Ciotti, nei giorni scorsi un incontro importante, quello con Papa Francesco a Santa Marta. Cosa ha provato?
«Ho sentito il Papa come Padre e l’ho scoperto fratello. E io, uomo piccolo piccolo, segnato da limiti e fragilità, ho avvertito con forza la grandezza di questo Papa schietto, fraterno, semplice, capace di accorciare le distanze e di rendere normale lo straordinario. Mi ha colpito la sua capacità di ascoltare, la profondità del suo sguardo, la sua attenzione e dedizione al rapporto umano come strumento di amore, di generosità e di gratuità. E la sua felicità. È un uomo felice perché disinteressato a se stesso, totalmente immerso nella vita e nell’attenzione agli altri».
È un Papa anche capace di forti denunce.
«Questo disinteresse a sé, alle forme e ai simboli del potere, è inversamente proporzionale alla sensibilità di fronte alle ingiustizie. Su questo non fa sconti. Chiama il male per nome, e chi lo commette alle sue responsabilità. Questa capacità di denuncia contagia. Nella Chiesa sta promuovendo un processo di purificazione dal potere, un ritorno alle radici, all’intransigenza etica del Vangelo. Ma spero che il rinnovamento morale tocchi le coscienze di tutti, laici e cristiani, e faccia capire che il più grande peccato oggi è quello di omissione, del volgere la testa dall’altra parte, del guardare il male e restare con le mani in mano».
Cosa la colpisce di più del Papa?
«La sobrietà, l’essenzialità. Non è ostentata, è vissuta. Francesco ti fa toccare con mano come ciò che conta nella vita è l’essere, non l’avere. Gli averi siamo tutti destinati a perderli, e non c’è niente di più saggio che metterli in comune. Ma anche l’essere va condiviso. E il Papa fa capire che la vita piena è quella che accoglie e non trattiene».
Di cosa avete parlato?
«Tante figure hanno accompagnato il dialogo: da Oscar Romero a don Tonino Bello. Ma è stata un’autentica gioia vedere il viso del Papa illuminarsi al nome di padre Michele Pellegrino, il mio maestro. Pellegrino mi ha ordinato sacerdote e affidato come parrocchia la strada. Nella Chiesa di Francesco vedo concretizzarsi molte speranze che scuotevano il suo cuore. Ho accennato al testo che il Papa ha scritto da cardinale sulla corruzione, “Guarire dalla corruzione”, edito dalla Emi. Un testo di profondità e finezza su uno dei mali più insidiosi del nostro tempo. Abbiamo parlato dell’impegno per ridurre le ingiustizie sociali, la povertà. Quindi del lavoro ormai cinquantennale del Gruppo Abele a sostegno delle persone fragili, e gli ho consegnato una documentazione sulla piaga della tratta e delle donne vittime di prostituzione. Poi, dopo che si sono aggiunti don Marcello Cozzi e don Tonio Dell’Olio, sacerdoti attivi in Libera, abbiamo parlato dell’impegno contro il crimine organizzato e la corruzione, e in particolare della testimonianza educativa dei familiari delle vittime delle mafie. È stato un incontro intenso, informale e intimo al tempo stesso, che mi lascia molta ricchezza e molta speranza. Voglio ricordare l’affettuoso “ciao” con cui ci siamo salutati e la raccomandazione di Francesco — “pregate per me” — un attimo prima che ci allontanassimo».


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