La riforma procede ma la stabilità è da costruire
E quando oggi comincerà la discussione in Parlamento, non sarà facile agli oppositori fermare una macchina che dovrebbe approvare la riforma elettorale entro maggio, dopo anni di tentativi falliti. Rimane da capire quanto peseranno le ombre di incostituzionalità che le forze minori additano: soprattutto per la norma a favore del Carroccio, imposta al Pd dal Cavaliere per salvare un alleato malconcio ma ancora in grado di produrre seggi al Nord.
L’appello al Quirinale che arriva da alcuni settori suona come l’ultima spiaggia per fermare una rivincita del bipolarismo ottenuta in poche settimane. In realtà, non è scontato che il nuovo sistema garantisca anche la stabilità. Senza una modifica del Senato, la possibilità che dalle urne escano due Camere con maggioranze diverse rimane alta: proprio come è successo nel recente passato. Ma tutto questo ieri è scivolato in secondo piano, rispetto alla tenuta del patto tra il segretario del Pd e il capo di Forza Italia; e non era scontato.
Il premier Enrico Letta e il suo vice Angelino Alfano, al vertice del Nuovo centrodestra, si dichiarano soddisfatti per la soluzione che è stata trovata. Entrambi, tuttavia, sanno che a vincere davvero ieri è stata la «larga intesa istituzionale» dei loro avversari: quella che in parte tollera il governo, in parte è decisa ad archiviarlo. Sullo sfondo rimane l’incognita del voto segreto alle Camere, sul quale si potrebbero scaricare le frustrazioni e le ostilità dei partiti piccoli e di quanti non vogliono una Terza Repubblica battezzata dall’accordo Renzi-Berlusconi.
L’eventualità che la riforma sia affossata, però, sembra improbabile. Una volta blindata la legge, concessioni se ne possono fare: già nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha aiutato discretamente gli interlocutori politici a venire incontro alle forze che si sentono danneggiate dalla riforma. Semmai, il problema è capire che fine farà il governo. Per riproporre il suo «contratto» agli alleati, Letta aspetta prima di vedere qual è lo scambio alla base del «sì» di Pd e FI. Tra i berlusconiani, la voglia di ottenere quanto prima la crisi dell’esecutivo e di andare al voto in primavera è esplicita.
Renzi, invece, si limita ad annunciare: «Grazie al ballottaggio» contenuto nella nuova legge, «mai più larghe intese, mai più potere di ricatto dei piccoli partiti, mai più inciuci sulla pelle degli elettori». Insomma, parla al passato dell’equilibrio creatosi per necessità dopo le elezioni di febbraio del 2013. Ma per il momento non ne trae le conseguenze. Anche perché sa quanti altri passaggi parlamentari e trattative politiche saranno necessari per arrivare al la fine del bicameralismo. La direzione di marcia, comunque, vuole essere quella. E non si può rimproverare al leader del Pd di cercare di «vendere» al meglio un risultato indubbio: seppure controverso nei suoi effetti.
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