Cinque Stelle, lotta a tutto campo Casaleggio a Roma dà la strategia

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ROMA — Non arretra di un millimetro il Movimento 5 Stelle. Nonostante i mugugni di molti e le perplessità diffuse per i toni usati, ormai è escalation, decisa direttamente dai vertici, Gianroberto Casaleggio in testa. Dopo il «Napolitano boia» di Giorgio Sorial (indagato per vilipendio al capo dello Stato), arriva un «Boia chi molla» da brividi di Angelo Tofalo. E in Aula si scatena l’assalto ai banchi della presidente Boldrini, al grido di «fascisti», con tanto di spintoni e insulti, bandiere e bavagli, schiaffi e lacrime. E mentre i deputati a 5 Stelle si preparano a occupare anche le commissione Cultura e Affari costituzionali (occupazione proseguita fino a notte), ecco la notizia: oggi alle 11 sarà resa nota la richiesta per avviare la procedura di messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Accusa principale: «La trattativa Stato-mafia».
Casaleggio ha deciso di alzare il tiro e lo spiega ai suoi, nella visita bisettimanale. Parla con qualche cronista, senza dar prova di loquacità. Sì, «sulla legge elettorale stiamo facendo il nostro percorso», sì, «l’impeachment lo stanno preparando, arriverà nei prossimi giorni». E quanto alla paventata ghigliottina anti-ostruzionismo (che calerà in serata) dice: «Non esiste: sarebbe una decisione extraprocedurale».
Ma è quello che rimane fuori microfono che conta. L’escalation è decisa, anche se i modi non sempre piacciono. Casaleggio avrebbe definito «inopportune» le parole di Sorial. Dallo staff si affrettano a smentire. E Sorial ribadisce: «Non mi pento e non mi risulta affatto che Casaleggio si sia smarcato. Mi sono informato, non è così». Eppure sono in molti a prendere le distanze. E non solo tra i dissidenti. Roberto Fico parla di «scivolone comunicativo, che mette in ombra i contenuti». Più che di «scivolone», la deputata del Pd Stella Bianchi pensa che si tratti di reato e parte da lei la denuncia per vilipendio. Denuncia definita «ridicola» da Sorial.
Poco dopo, in Aula, ci pensa l’ingegnere Tofalo ad alzare il tiro. E nello sconcerto generale dice: «Boia chi molla, presidente Boldrini. Boia chi molla, e noi non molleremo fino alla fine». Il celebre motto riportato in auge da Ciccio Franco durante i moti di Reggio e poi adottato da fascisti di ogni dove, fa il suo ingresso in Aula, in pieno 2014. Tofalo dà poi una sua spiegazione: «Ma quale fascista, è il motto usato da Eleonora Fonseca Pimentel durante la repubblica partenopea del 1799». Ha letto la «Metà di niente»? «Eh? Ah sì, lo sto leggendo». Sarà, ma la frase non viene presa bene dai colleghi. Alfonso Bonafede in assemblea prende la parola per stigmatizzare «i toni troppo forti» e per invitare alla «nettezza dei contenuti». Protesta la pattuglia dei moderati.
Ma il dado è tratto e contro il dissenso è in arrivo un giro di vite: sotto tiro sono Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino, Paola Pinna e Ivan Catalano. E soprattutto Tommaso Currò, contro il quale pare sia già stata avviata una procedura di espulsione. Insomma, una nuova stagione di purghe sembra in arrivo, mentre il gioco si fa duro. Questa mattina arriverà la richiesta di impeachment, disapprovata da alcuni parlamentari. E condannata da tutti gli altri partiti politici, Lega compresa. Ma la decisione è presa e la rete stavolta non è chiamata a decidere nulla. Se non a rispondere al sondaggio sul sito di Grillo: «Qual è l’atto più grave?». Il post ne suggerisce alcuni: «Sudditanza a poteri stranieri, pesanti ingerenze sul governo, occultamento di fonti giudiziarie».
A ricompattare tutti (o quasi) arriva la bagarre serale. Che fa usare parole forti. Carlo Sibilia: «Questi sono essere immondi, il gesto della Boldrini è lurido». Nei post risuonano più volte le parole «dittatura» e «fine della democrazia». Laura Castelli scrive: «Provo vomito». Giuseppe Brescia minaccia: «Non torneremo in Aula pacificamente». E Manlio Di Stefano annuncia: «D’ora in poi è guerra».
Alessandro Trocino


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