by Sergio Segio | 30 Gennaio 2014 9:20
E c’è un motivo se Renzi ha fatto di questa domanda una sorta di tormentone, perché al segretario del Pd resta il dubbio, per non dire il sospetto, che il Cavaliere possa fare del suo pacchetto di riforme un «pacco», che nel gioco del prendere o lasciare lui si prenda l’Italicum e poi lasci da solo Renzi sulle «altre cose», cioè le modifiche istituzionali: Senato, titolo V, costi della politica. È questo il rischio per il capo dei democrat, ora che l’asse con il leader di Forza Italia è stato saldato e messo ieri nero su bianco con il testo base della legge elettorale.
Perché non c’è dubbio che la strategia del sindaco di Firenze, più che alle trappole del voto segreto in Parlamento sul sistema di voto, sia esposto alla volubilità di Berlusconi, suo principale partner. L’ex premier terrà fede all’impegno di andare fino in fondo sulle riforme, per almeno un anno, senza chiedere politicamente nulla in cambio? Per esempio, accetterà gli attuali equilibri di governo, o piuttosto — come rivelano autorevoli dirigenti azzurri — aspetterà il varo del nuovo sistema di voto e il successivo test delle Europee, prima di porsi (e porre) un’altra domanda: se non c’è un cambio a Palazzo Chigi, quando si torna alle urne?
In primavera non sarà possibile andarci: nella riforma della legge elettorale, infatti, c’è una sorta di norma «salva Letta», la delega al governo per la ridefinizione dei collegi che si prenderà un mese e mezzo di lavoro. Ma in autunno non ci sarebbero impedimenti, anche Renzi ha detto che «il voto durante il semestre europeo a guida italiana non è un tabù». È vero che su questa eventualità il leader del Pd ha garantito in pubblico e in privato che non è sua intenzione: «Ti assicuro, Angelino, fidati di me», ha ripetuto ad Alfano a più riprese. Il punto però è un altro: che fine farebbero le riforme di sistema, se Berlusconi dovesse scartare? E come si potrebbe adeguare il modello elettorale a doppio turno che è stato congegnato, senza la riforma del Senato?
Ecco perché Renzi non ha indossato i panni del guascone nel giorno in cui ha tenuto a battesimo l’Italicum, che appare proprio come una soluzione all’italiana: non si era mai visto un sistema elettorale che in una soglia di sbarramento avesse i decimali. Ma è proprio il barrage per entrare in Parlamento — posto al 4,5% — che sta a testimoniare quanto la ricerca dell’intesa sia stata il frutto di una «guerra durissima», come ha raccontato il braccio destro di Renzi, Guerrini, al termine di una mattinata in cui il capo del Pd ha dovuto districarsi tra telefonate di rivendicazione, impuntature, concessioni e ritrattazioni.
Ha fatto il possibile, messo in mezzo a Napolitano, ai piccoli partiti, al suo Pd, a Berlusconi che insisteva nel voler fare la festa ad «Angelino», ad Alfano che incassava «i colpi bassi» del Cavaliere, che strappava a nome dei centristi l’abbassamento dello 0,5% sulla quota di sbarramento, e che — in attesa di ridurre la soglia al 4% in Parlamento — chiedeva intanto «garanzie» a Renzi sulle candidature multiple, care fino a ieri al leader forzista e oggi vissute come una bestemmia, dato che non può più candidarsi e non vuole lasciarle in eredità all’ex erede…
Insomma, un’ordalia durata ore e dalla quale, infine, Renzi è uscito vincente e al tempo stesso consapevole di essere «solo all’inizio della partita», nemmeno all’intervallo tra un tempo e l’altro. L’Aula di Montecitorio sarà il crash test del compromesso sull’Italicum. Certo, nelle votazioni potrebbero saldarsi gli interessi dei suoi oppositori: i minoritari del Pd, i rivoltosi di Forza Italia, i disperati di centro di destra e di sinistra, costretti dalla riforma a un bipolarismo coatto. Ma davvero questa strana coalizione sarebbe pronta a far saltare la legge? E chi — rischiando di intestarsi una crisi di sistema — potrebbe accompagnarsi nella selva oscura degli scrutini segreti con il «lupo cattivo» Grillo, uscito sconfitto dall’asse Renzi-Berlusconi?
Di sicuro il testo verrà modificato nel gioco d’Aula, difficilmente però verrà affossato. E allora, se il segretario del Pd si mostra prudente, non è per la sorte dell’Italicum ma per ciò che potrà accadere sul resto del suo pacchetto riformatore. Il Cavaliere lo accompagnerà fino a compimento, o scarterà appena saputo che «l’amato Matteo» — forte del suo ruolo di «padrino» della Terza Repubblica — accetterà di rinforzare l’esangue governo Letta? Perché così ha promesso: «Fidati, Angelino».
Francesco Verderami
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2014/01/2014-01-30-09-21-17/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.