by Sergio Segio | 29 Gennaio 2014 15:18
ROMA — «Sono ore decisive: o si chiude o si rompe». Matteo Renzi sa che il tormentone delle riforme è arrivato alla parola fine. In un modo o nell’altro. «Domani (oggi per chi legge, ndr ) è il giorno giusto», spiega ai suoi il segretario del Partito democratico dopo l’ennesima telefonata con Silvio Berlusconi e Angelino Alfano.
Vive attaccato al cellulare, il sindaco di Firenze, ma ci tiene a precisare: «Non faccio il mediatore, faccio la riforma e sto evitando di farmi risucchiare dalla palude, perché quello proprio non lo sopporterei. Del resto, l’ho spiegato anche ai deputati che fanno capo a Cuperlo: siamo in una situazione particolare e se salta la riforma rischiamo di trovarci in uno scenario inimmaginabile. Nessuno può sapere quello che succede a quel punto. Non è che a Berlusconi o Alfano, per far capire loro qual è la situazione, abbia fatto discorsi diversi. Vogliono assumersi le loro responsabilità? Vogliono finalmente prendersi l’onere e l’onore di cambiare la legge elettorale, abolire il Senato così come lo abbiamo conosciuto e rivedere il titolo V della Costituzione? O vogliono andare davanti al Paese e dire: “Siamo noi i responsabili del fallimento delle riforme elettorali e istituzionali”? Perché, parliamoci chiaramente, questa è veramente l’ultima occasione per cambiare. Non avremo altre chance. Non le avremo noi del Pd, non le avranno gli altri partiti e, soprattutto, non le avrà il Paese».
Insomma, Renzi è scatenatissimo. Ha trattato per tutta la giornata (e la nottata) di ieri, senza rilassarsi un attimo, se non per buttarsi nel suo lavoro di sindaco. Non ha avuto un momento di tranquillità. «Del resto, non possiamo fermarci, se ci fermiamo rischiamo di bloccarci e di farci prendere dagli ingranaggi dell’immobilismo. C’è chi non aspetta altro, lo so bene. Ci sono tanti, lì fuori, che sperano in un fallimento per non cambiare niente, per lasciare che tutto rimanga immutato». Per questa ragione Renzi a sera insisteva con Berlusconi sull’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza. A una cert’ora sembrava aver convinto il leader di Forza Italia a spostarla dal 35 al 37%. Ma questo accordo provvisorio durerà alla prova della notte? Nemmeno il segretario del Pd è in grado di dirlo. «Dobbiamo aspettare», spiega ai fedelissimi, mentre racconta loro che sulla richiesta di Angelino Alfano delle candidature plurime non c’è stato nessun problema. Non è ancora definitivamente chiusa la trattativa sul cosiddetto «salva Lega», chiesto da FI, ma solo perché il Pd usa questo strumento come «merce di scambio» per convincere Berlusconi ad arrendersi definitivamente sull’innalzamento della soglia necessaria per ottenere il premio di maggioranza. «Innalzamento — ripetono al Nazareno — che ci è stato sollecitato da Giorgio Napolitano». Come a dire che su questo punto c’è poco da discutere. Ultimo problema l’abbassamento del tetto del 5% per le forze che si coalizzano e dell’8 per quelle che invece intendono andare da sole. Si potrebbe passare dal 5 al 4 nel primo caso, ma su questa possibilità c’è minor certezza rispetto agli altri oggetti della trattativa.
È ovvio che Renzi stia spingendo per l’accordo perché, come ha detto più volte ai parlamentari del suo partito, «su questo mi gioco non solo la faccia ma anche l’osso del collo». Ma c’è di più. Per il segretario del Partito democratico il «pacchetto riforme» è importante pure perché rappresenta un tassello fondamentale per il percorso che intende intraprendere. Come ha confidato ai suoi non troppo tempo fa: «Prima dettiamo l’agenda sulle riforme, e poi detteremo anche quella sul programma di governo».
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