La minaccia Ue, secondo Gabriel «viene da destra e da sinistra»
«La crisi economica e finanziaria ha messo in circolazione molti anti-europeisti. Troppi. Estremisti e populisti di destra, così come estremisti e populisti di sinistra. Tutti costoro mettono in discussione con la loro propaganda questo grande progetto di civiltà del Ventesimo secolo, l’Unione europea». Per Sigmar Gabriel, segretario del partito socialdemocratico tedesco (Spd) e numero due del governo di Angela Merkel, la minaccia all’Ue proviene in modo analogo da destra e da sinistra. Nel discorso al congresso Spd di Berlino dell’altro ieri, il vicecancelliere non poteva essere più chiaro: i populisti anti-euro di Alternative für Deutschland (AfD) «hanno copiato il programma della Linke».
Nemmeno una parola contro le scelte «anticrisi» della democristiana Merkel, ma spazio alla teoria degli «opposti estremismi» in vista delle elezioni europee di maggio: i radicalismi di destra e sinistra sarebbero uniti nel sabotaggio delle istituzioni sovranazionali dell’Ue. Secondo il leader della Spd, stanno tutti nello stesso sacco dell’antieuropeismo nazionalista: gli euroscettici di destra della Afd e gli internazionalisti della Linke. A suffragare questa raffinatissima tesi, Gabriel ha portato una prova inoppugnabile: una dichiarazione nella quale la vicesegretaria della Linke, la carismatica Sahra Wagenknecht, sosteneva che l’Ue sia «una leva per la distruzione della democrazia».
Una citazione, quella fatta dal vicecancelliere davanti ai delegati socialdemocratici, completamente estrapolata dal suo contesto: un’intervista del 13 gennaio al quotidiano Tagesspiegel nella quale Wagenknecht argomentava come fossero i governi nazionali ad usare la Ue come strumento per attuare «scelte politiche impopolari come i tagli allo stato sociale e le privatizzazioni». Nessuna retorica neo-nazionalista contro «Bruxelles», quindi. La stessa Wagenknecht, che della Linke rappresenta l’ala più radicale, nei giorni scorsi è tornata su quell’intervista sempre dalle colonne del medesimo giornale, ribadendo che «l’Unione europea ha un problema con la democrazia». Come hanno dimostrato «l’insediamento di governi tecnici in Italia e Grecia per ottenere la fiducia dei mercati» o «la totale oscurità che avvolge i negoziati fra Ue e Stati Uniti sul trattato di libero scambio (Ttip), in mano a lobbisti che agiscono liberi dal controllo degli eurodeputati».
Antieuropeismo? No, risponde Wagenknecht: «Vogliamo una rifondazione dell’Ue attraverso la modifica dei trattati». Una modifica che porti a «più Europa»: ad esempio, maggiore potere dell’Europarlamento, possibilità di convocare referendum su scala comunitaria, e una politica comune contro il dumping fiscale e per una tassazione dei patrimoni a livello continentale. «L’integrazione europea è un processo storico per la cui prosecuzione la Linke intende battersi», affermano in un documento gli eurodeputati uscenti della principale forza di opposizione tedesca. Parole che non si trovano, con buona pace del socialdemocratico Gabriel, nel programma degli euroscettici ultra-conservatori, decisamente orientati verso una re-nazionalizzazione della politica. «Noi ci battiamo per una Ue di stati sovrani», si legge nel programma elettorale recentemente approvato dalla AfD. Che rivendica anche un maggior peso della Germania nelle decisioni comunitarie, «in conformità al suo numero di abitanti e alla sua importanza».
Meno tranchant del suo compagno vicecancelliere è apparso Martin Schulz, il cui appassionato discorso al congresso di Berlino è stato molto applaudito. Per il candidato presidente della Commissione l’avversario principale è solo l’estrema destra, e non tutte le critiche alla Ue vanno rubricate sotto l’etichetta di antieuropeismo: «Anch’io critico la Ue, ma sono un convinto europeista». Il presidente uscente dell’Eurocamera ha riconosciuto che l’Unione si trova «in una condizione deplorevole». Motivo? «Una politica neoliberale ha per troppo tempo messo le libertà economiche davanti ai diritti fondamentali delle persone». Toni decisamente più critici di quelli di Gabriel, ma stesso silenzio sul ruolo della cancelliera Merkel.
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