by Sergio Segio | 28 Gennaio 2014 12:24
ROMA — Presidente Boldrini, parliamo della legge elettorale? «Sì, ma per favorire un buon risultato, saranno i gruppi a decidere le tecnicalità». Che clima vede, dentro e fuori il palazzo? «Dentro si lavora molto, anche perché fuori c’è una grande attesa». Il premio di maggioranza? «Non deve essere così alto da tradire la volontà degli elettori». E lo sbarramento? «Il pluralismo è un valore per la democrazia». La presidente, nel suo ufficio di Montecitorio, dove ha portato due sculture ripescate dai magazzini della Camera che le piacciono molto (un gatto rosso e una bambina) dice aRepubblica:«La rappresentanza può incrementare la partecipazione. Senza penalizzare la governabilità».
Facciamo un pronostico sulla settimana: confronto civile o rischio caos?
«Siamo nella fase importante della commissione, dove si fa la sintesi delle singole istanze per trovare un terreno comune, anche se i punti di partenza sono diversi. La legge elettorale dev’essere la più condivisa possibile, perché riguarda l’assetto del Paese ed è giusto che veda la convergenzadi tutti i gruppi».
Niente scontro allora?
«Il dibattito è vivace, ma ci sta tutto».
Lei gira molto in Italia. Ha colto la preoccupazione di un possibile inciucio o il dialogo Pd-Fi è compreso?
«Fuori di qui i cittadini chiedono risultati concreti. Sono anni che si parla di riforme, senza mai arrivare a un risultato. Bisogna cambiare rotta e dimostrare che la politica è capace di dare risposte, rispettando tempi e impegni. Tutti i partiti hanno promesso di cambiare la legge, sono passati dieci mesi, e forse ci siamo. Sento che la gente se lo aspetta e non si può tradire questa attesa».
Renzi lancia un ultimatum, se il voto segreto affossa la legge si va a votare. Analisi giusta o esagerazione?
«Non so se, proprio ora, sia utile porre in modo così netto questo aut aut. Agitare come uno spauracchio le elezioni non serve, perché non si può sempre andare a votare. Prima ci vuole una nuova legge elettorale che garantisca la governabilità. La nuova legge deve coniugare due esigenze, entrambe importantissime, la rappresentanza e, appunto, la governabilità. È fondamentale che i cittadini non si disamorino di fronte ad una limitata offerta politica. Il rischio è che in pochi vadano a votare, come succede negli Usa e in Gran Bretagna, e che gruppi significativi siano esclusi dal Parlamento».
La Consulta e le perplessitàdei giuristi. Renzi si infastidisce, ma i paletti tecnici sono necessari. I suoi punti fermi?
«Va rispettata l’autorevolezza di chi esprime un parere e chiede che si recepisca quanto ha stabilito la Corte. I costituzionalisti partono da lì e sottolineano che bisogna recepire la sentenza traducendola in un’ottica politica».
Il nodo delle preferenze è strategico. Tra la gente si avverte la voglia di indicare per nome i propri rappresentanti. È sbagliato?
«I cittadini devono poter scegliere il candidato. Lo devono conoscere. Come tradurlo in norme lo lascio al lavoro dei gruppi. Le soluzioni possono essere tante, ma ci deve essere un collegamento tra chi vota e chi viene eletto. Non va però neanche dimenticato che in passato le preferenze multiple hanno creato più di un problema e i referendum le hanno bocciate. Oggi serve un sistema elettorale che garantisca trasparenza. E se si tornasse alle preferenze servirebbero in ogni caso controlli severisull’utilizzo delle risorse».
Anche un premio di maggioranza eccessivo è vissuto come un abuso. Il presidente del Senato Grasso propone una soglia al 40%. Un premio troppo alto mortifica la volontà dei cittadini?
«Sì, perché non corrisponde al voto e anzi lo altera. La Consulta ha parlato di uguaglianza dei voti. Bisogna stabilire un rapporto ragionevole tra voti conseguiti e premio di maggioranza, che non sbilanci e non sconvolga il risultato elettorale. La stella polare resta la sentenza».
Lei è stata candidata da Sel, un piccolo partito. Come vede la prospettiva che lo sbarramento lo escluda?
«Il pluralismo è un segno di democrazia. Quando l’offerta politica si restringe a due o tre partiti la conseguenza è che una bella fetta della popolazione non si identifica più nella politica e preferisce non votare. Cito ancora i paesi anglosassoni. Ma in tempi di antipolitica non è il momento di restringere la rappresentanza, perché la politica è inclusione e partecipazione».
Le candidature multiple?
«Bisogna che il candidato sia eletto nel luogo dove ha fatto la campagna elettorale e dove è tenuto a rispondere agli elettori per le cose che ha promesso di fare. Io stessa, quando ho dovuto scegliere per quale circoscrizione optare, mi sono trovata in grande disagio».
Lei era all’apertura del congresso di Sel. Impressioni?
«Trovo innaturale la spaccatura tra Pd e Sel. Sarebbe importante per il Paese costruire una piattaforma comune, che definisco progressista, che si sviluppi intorno ad una stessa visione di società e che abbia anche la forza di attrarre a sé chi è deluso e magari non va più a votare».
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