Legge elettorale, armistizio nel Pd sarà Renzi a trattare le modifiche “Ma se salta tutto, subito alle urne”

by Sergio Segio | 27 Gennaio 2014 10:13

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ROMA — Oggi è il giorno della verità, in commissione si inizia a votare, e Renzi su Twitter sfoggia ottimismo: «I conservatori non mollano, resistono, sperano nella palude. Ma l’Italia cambierà, dalla legge elettorale al lavoro. Questa è la volta buona». Che l’Italicum si possa modificare in qualche punto, nonostante la netta opposizione di Forza Italia, sembra ormai scontato.
Non a caso ieri lo stesso Denis Verdini ha passato il pomeriggio a Montecitorio, nello studio di Renato Brunetta, per ipotizzare fino a che punto e su quali argomenti i berlusconiani potessero cedere qualcosa. Il plenipotenziario del Cavaliere è rigido sulle soglie si sbarramento e sul no alle preferenze. Tuttavia, anche grazie a una certa “moral suasion” che scende dal Quirinale, è possibile che venga ritoccato verso l’alto il tetto per accedere al premio di maggioranza. Anche Renzi, con i suoi, apre alla possibilità di «aumentare la soglia di accesso al premio ». E forse non è un caso se ieri, su questo punto specifico, si sia fatto sentire il presidente del Senato, che tiene un rapporto stretto con il Colle: «Penserei — ha detto Grasso a “Che tempo che fa” — a un aumento della soglia per accedere al premio di maggioranza, il 40% sarebbe meglio in rispetto della sentenza». Oggi l’Italicum prevede appena il 35%, molti costituzionalisti spingono per arrivare al 40% (soglia sotto la quale scatterebbe l’obbligo del ballottaggio tra le prime due coalizioni). Non è difficile immaginare che il compromesso finale ruoti intorno a l 37-38 per cento. «Il patto è quello siglato da Berlusconi e Renzi — ha confidato ieri a un amico Verdini — e siamo disponili solo ad affinamenti, senza stravolgere cardini come le soglie e le liste bloccate».
Ma l’altra partita decisiva è quella che si gioca dentro al Pd, dove la minoranza bersaniana si ritrova maggioranza in commissione affari costituzionali. Ieri, al termine di una lunga riunione di quattro ore con la renziana Maria Elena Boschi, i membri democratici della commissione hanno siglato una sorta di armistizio con il Nazareno. Per non presentare un partito diviso all’appuntamento con il voto degli emendamenti.
È stato proprio Brunetta e quella minaccia di elezioni subito dopo il via libera all’Italicum a ricucire un Pd lacerato, a interrompere — almeno fino alla prova della verità del voto — il braccio di ferro tra Renzi e la minoranza dem. «Se salta la legge elettorale – confermato il segretario – si va subito al voto. E dopo la riforma elettorale c’è quella del Senato e il Titolo V, non il voto». Lo scontro soprattutto sulle liste bloccate che andava avanti da giorni, si è allentato nella riunione dei membri della commissione. La soluzione passa da una formula: emendamenti aperti. Non ci saranno cioè modifiche di corrente, i cuperliani si fermano consapevoli che altrimenti l’Italicum sarebbe finito in una palude e il Pd a sbattere. Al tempo stesso Renzi apre a qualche modifica, «purché concordata» con gli altri soci del patto.
Finisce per ora con un “liberi tutti”: i dem presenteranno questa mattina emendamenti a titolo individuale. Che potranno essere cambiati a loro volta o ritirati, a seconda del gradimento che riceveranno dalle altre forze politiche. Sarà uno show in cui ognuno pianterà la propria bandierina, ma al momento senza conseguenze politiche. Perché quando si dovrà votare conterà la «disciplina di gruppo ». In sostanza quello raggiunto ieri è stato un accordo sul metodo. Dopo che la minoranza avrà messo a disposizione del segretario le sue ipotesi di modifica, sarà Renzi stesso — affiancato dal capogruppo Speranza — a sondare oggi pomeriggio la reale disponibilità di Forza Italia e degli alleati di governo. Insomma la «sintesi politica» la vuole fare il segretario del Pd e intende far pesare alla minoranza anche l’impegno preso con il voto della Direzione favorevole all’intesa con il Cavaliere. Se tutto andrà bene, Renzi avrà ottenuto il risultato di portare a casa la legge, mentre l’area Cuperlo potrà rivendicare di aver combattuto e, forse, essere riuscita a strappare anche qualche miglioramento.
Sulla modifica delle liste bloccate attraverso le preferenze o i collegi uninominali, i cuperliani e anche Rosy Bindi non intendono al momento sentire ragioni. E ieri nell’assemblea si sono fatti sentire. Bindi ha sostenuto a spada tratta fino all’ultimo che non ci dovevano essere «emendamenti di corrente», era il gruppo del Pd che avrebbe dovuto farsi carico di presentare le modifiche. Emanuele Fiano, il capogruppo in commissione, ha stoppato: se trattativa ci dev’essere, non può essere con pronunciamenti che portino il timbro del gruppo. In ordine sparso, perciò. E stasera nuova riunione, dopo che Maria Elena Boschi, Fiano e Roberto Speranza avranno incontrato le delegazioni degli altri partiti. Boschi annuncia: «Ci sarà un ventaglio di soluzioni tecniche ». Alfredo D’Attorre, bersaniano, presenterà emendamenti sulle preferenze, sui collegi uninominali, sulle primarie per legge. Idem farà Bindi, più un emendamento per alzare la soglia del 35% che consente di incassare il premio di maggioranza. Francesco Sanna ha pronto un emendamento su una sorta di diritto di tribuna per i piccoli partiti. È Gianni Cuperlo a chiarire subito: «Nessuno vuole boicottare la legge elettorale, non vogliamo apparire tali. Vogliamo anzi arrivare fino in fondo nella riforma». Quindi il trittico — legge elettorale, nuovo Senato, Titolo V — va tenuto insieme. È giusto presentare emendamenti sui punti di «incerta costituzionalità », cioè la soglia del 35% troppo bassa, lo sbarramento dell’8% troppo alto e soprattutto l’assenza di scelta con le liste corte di 4-6 candidati. «Le nostre preoccupazioni sono diventate obiezioni condivise da molti», rivendica l’ex sfidante di Renzi alle primarie. «Brunetta ha fatto scattare l’allarme rosso — spiega D’Attorre — . Non vorrei che il Cavaliere punti a incassare una legge elettorale che gli conviene e boicotti il resto delle riforme». Nel Pd intanto si sono convinti che Forza Italia non sia quel monolite che appare all’esterno. Una parte degli stessi forzisti vorrebbe introdurre il voto di preferenza, mentre le donne azzurre spingono per un meccanismo che garantisca davvero l’alternanza di genere.

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