“Paesi emergenti senza riforme ora è finita la grande illusione”

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DAVOS— «La crisi valutaria dei Paesi emergenti è destinata a durare fino a che non cambieranno le politiche interne delle aree colpite. I governi locali hanno tirato troppo la corda. Si sono illusi di poter andare avanti senza fare le riforme strutturali e senza politiche fiscali, monetarie e del cambio sane, bilanciate». E se lo dice un politologo come Moises Naim, che è venezuelano ed è un esperto di economia internazionale, c’è da crederci. «Le turbolenze — pronostica — sono destinate a durare. E tutti si ritroveranno più poveri».
Ma da dove comincia questa crisi?
«Non nasce sicuramente a Wall Street bensì a Buenos Aires, Brasilia e Pretoria. I mercati stanno scoprendo che le politiche macroeconomiche di questi Paesi non erano sostenibili ma profondamente fragili».
Perché?
«Erano sbagliate. In pratica, non c’era più alcuna convenienza per gli investitori. Dico gli investitori veri, quelli produttivi. I vantaggi invece c’erano solo per gli investitori speculativi ».
Sì, ma perché proprio adesso?
«Per due ragioni. La prima: da Washington arriva il segnale che la Federal reserve intende chiudere, sia pure piano piano, l’era del denaro abbondante e a basso costo. E’ il cosiddetto tapering. La seconda ragione ha a che fare con lo stato di salute della Cina: la sua crescita sarà meno vigorosa e dunque il governo di Pechino è chiamato a fare i necessari aggiustamenti. Il combinato disposto di questi due elementi ha prodotto quello che abbiamo visto sui mercati finanziari ».
Più in concreto?
«La Cina compra materie prima dall’Argentina e dal Brasile. E’ chiaro che se Pechino cresce meno i prezzi di queste commodities scendono. Dimimiche nuiscono così anche i ricavi per questi paesi che dipendono moltissimo dall’export di prodotti del genere. E’ un circolo vizioso, un cane che si morde la coda».
Il fenomeno riguarderà tutti i Paesi emergenti?
«No, solo quelli che conducono politiche macroeconomiche sbilanciate. Questo spiega come mai il Cile, che pure confina con Brasile e Argentina, è rimasto immune dalla crisi. E lo stesso vale per il Messico che ha politiche fiscali sani e forti, per la Colombia, per il
Perù».
Scusi, ma allora perché anche il rublo russo sta soffrendo molto?
«Perché anche lì ci sono politiche sbagliate e vulnerabili. La Russia dipende dai prezzi del petrolio. I pronostici dicono che stanno scendendo».
Lei crede che questa fase di subbuglio vada oltre i cosiddetti Brics.
«Secondo me è proprio così. Ed è chiaro comunque che gli stessi Brics, ovvero Brasile, India, Cina, Russia e Sudafrica, andando più lenti di quel che si credeva, aggravano la situazione. Ma attenzione: questo rallenty non è fenomeno di oggi. E’ da un anno almeno che i loro ritmi di crescita non solo più quelli di una volta».
Dunque c’è il rischio di un mega contagio?
«Ci sarà il contagio a tutti i Paesi emergenti fragili nelle diverse aree dunque anche in Turchia, Ucraina, Thailandia».
E quanto durerà?
«Per lungo tempo. Finchè non cambieranno, non controlleranno l’inflazione e non diventeranno più attraenti per gli investitori esteri seri».
Cosa succederà, secondo lei, alla riapertura dei mercati?
«Temo che accadrà quel che si è già verificato venerdì scorso. Chi ha investito soldi nei Paesi emergenti ora li sposta nelle aziende Usa sane o comunque dove si attuano politiche sane».
Per i cittadini dei Paesi colpiti, quali sono le conseguenze?
«Che saranno tutti più poveri. In Argentina l’inflazione erode i guadagni. In Venezuela, il mio Paese, mancheranno la luce, la carta igienica, le medicine e il latte per i bambini. E questo, oltretutto, sta già succedendo».


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