“In quella città combattenti filo-Usa ecco il perché di quest’accordo”

by Sergio Segio | 27 Gennaio 2014 9:18

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GINEVRA — «Che sciocchezza quell’invito negato all’Iran. Mentre i rappresentanti dei Paesi invitati hanno parlato cinque minuti all’inaugurazione della Conferenza, poi se ne sono andati, gli inviati del presidente Rouhani sono qui a trattare con tutti». È ironico Faisal Mekdad, il vice-capo delegazione di Damasco alla Conferenza di Ginevra, e responsabile del dossier sul disarmo chimico siriano. Incontra Repubblica il giorno in cui la Siria accetta l’apertura dei primi corridoi umanitari a Homs. E proprio fuori della porta a vetri dell’Hotel de la Paix, staziona una pattuglia di emissari iraniani. Nemmeno a farlo apposta, il suo smart-phone vibra all’arrivo della notizia: «Rouhani: il primo passo per risolvere la crisi siriana è l’espulsione dei terroristi dal Paese». Questo dà il «la» alla conversazione.
Ministro Mekdad, la Conferenza chiede una transizione democratica in Siria, e invece voi insistete sul terrorismo. Volete deviare il negoziato?
«Non ha letto ieri il comunicato dell’Isis (lo Stato islamico in Iraq e nel Levante, ndr), che apre un fronte di guerra in Libano? L’avevamo detto che il pericolo si sarebbe diffuso. Adesso, nonostante la retorica politica, molti governi bussano alla nostra porta».
Quali?
«Hanno chiesto segretezza. Sono diplomatici e servizi d’intelligence in maggioranza europei: mandano delegazioni, messaggi. Vogliono concertare un’azione contro il terrorismo ».
Voi come rispondete?
«Siamo d’accordo in linea con la risoluzione 1373 del Consiglio di sicurezza e il divieto al sostegno ai terroristi, e vale anche per Turchia e Arabia Saudita, i primi responsabili. Collaboriamo, a una condizione: che s’accompagni un dialogo politico. In tutti i casi, l’atmosfera è cambiata. Dietro le quinte c’è un mondo diverso».
E dietro le quinte di Ginevra? Si parla di tregua nella Città vecchia di Homs con l’accesso agli aiuti umanitari e uno scambio dei prigionieri. La Siria collabora?
«Noi apriremo subito i corridoi umanitari. I combattenti possono deporre le armi e andarsene, lasciando liberi i civili. L’esercito ha ripreso gli altri quartieri, loro sono accerchiati. Aspettiamo solo dall’opposizione la lista dei nomi di chi vuole uscire».
Perché? Volete arrestarli, interrogarli?
«No, se sono siriani. Dobbiamo aggiornare i registri, come fa ogni Paese: annotare chi è morto, chi è vivo e chi è scomparso. Se invece sono stranieri, hanno violato le leggi siriane. Però, ci sono casi più complessi. Homs è di facile soluzione, forse per questo l’America lo vuole. Chiedeva una tregua ad Aleppo. Ora ha cambiato idea».
Ci racconta che è successo?
«Già prima della Conferenza abbiamo consegnato a Mosca la proposta del cessate-il-fuoco. A Parigi, Lavrov s’aspettava da Kerry una risposta su Aleppo. Invece, ha ottenuto il silenzio. Il fatto è che Washington ha rapporti coi gruppi armati di Homs, e con nessuno ad Aleppo».
Per l’opposizione non c’è svolta finché il presidente Assad è al potere.
Ginevra non parla proprio di questo?
«Se fosse espresso a chiare lettere, noi sapremmo cosa fare. E’ scritto invece che ogni cambiamento deve avvenire in collaborazione e con il consenso di entrambe le parti ».
E infatti Kerry ha precisato che Assad deve farsi da parte.
«Lui cita il veto dell’opposizione a un governo cui partecipi Assad. E ha ragione. Solo, non ne ha comprese le conseguenze. Se infatti l’opposizione lo vietasse, nell’assenza di un accordo Assad rimarrebbe. Ginevra impedisce un vuoto di potere».
Mekdad, la Siria sente di trattare in posizione di forza? Vi sentite protetti dall’intesa sul disarmo chimico?
«L’arsenale non è più operativo. Le spedizioni riprenderanno a giorni; però, resta più d’una sfida, e la prima è la minaccia dei gruppi armati dopo che i siti di stoccaggio, ch’erano segreti, ora sono sulla bocca di tutti. Dopo la condivisione dei dati con l’Onu, la Gran Bretagna, la Francia, l’America, l’Arabia Saudita, l’informazione è arrivata ai gruppi armati. Già abbiamo respinto l’assalto a due siti. Se poi il convoglio finisse sotto attacco nel trasporto a Lattakya, si verificherebbe una catastrofe».

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