by Sergio Segio | 27 Gennaio 2014 9:13
l’Europa è uscita dalla fase acuta della sua crisi, torna interessante; soprattutto, il sentimento degli investitori è cambiato in positivo nei confronti della cosiddetta periferia della Ue, perché alcuni dei Paesi deboli iniziano a vedere i risultati di riforme fatte e altri, come l’Italia e la Francia, promettono di farle.
Il passaggio sarà turbolento, come si è visto in Argentina e sui mercati globali la settimana scorsa e come forse si vedrà nei prossimi giorni: i flussi di capitale possono essere distruttivi quando avvengono. Ciò nonostante, se non vuole combattere una guerra già finita, quando le condizioni mutano un buon generale cambia strategia, non combatte più in trincea ma in campo aperto. E’ l’opportunità che ha l’Italia in questo 2014: ma solo se la sa cogliere.
In un’analisi per Project Syndicate, la direttrice delle Relazioni politiche del colosso assicurativo tedesco Allianz, Katinka Barysch, sostiene due cose rilevanti. Primo, le riforme fatte in Europa sono positive, soprattutto l’Unione bancaria. E quelle non fatte, in particolare l’Unione di bilancio, probabilmente non si faranno ma forse non servono nemmeno: gli squilibri dei primi dieci anni di euro e la riunificazione tedesca, alla base della crisi, non potranno ripetersi. Secondo, le distorsioni intra-europee sono storia passata: l’aggiustamento condotto dai Paesi della periferia ha limitato gli sbilanci dei conti correnti e ridotto i costi del lavoro, con il risultato che i passi avanti fatti da Madrid, Lisbona e Dublino metteranno «una pressione crescente su Francia e Italia perché li seguano in fretta, il che renderebbe l’Europa nel suo complesso più competitiva».
Durante la crisi, insomma, le cose sono cambiate in meglio. Come si vede dalla tabella in pagina, la produttività per persona impiegata — un indicatore della competitività — è migliorata nettamente in Spagna, Portogallo, Irlanda e persino in Grecia (in Italia no), cioè in quasi tutti i Paesi che venivano raccolti sotto l’acronimo Piigs. Se si osserva l’indice Ocse della produttività per persona e si fa base 100 nel 2010, si vede che la Spagna era a 94 nel 2007 e nel 2012 è salita a 105,6 (nel 2013 è migliorata ulteriormente); il Portogallo è passato, nello stesso periodo, da 96,3 a 103; l’Irlanda da 91,6 a 102,6; la Grecia da 105,8 a 101,3 (ma in recupero negli ultimi due anni). Il problema, tra le economie considerate periferia della Ue, resta l’Italia, passata da un indice 103,1 nel 2007 a 98,4 nel 2012, segno che rispetto agli altri Paesi più colpiti dalla crisi abbiamo reagito meno e peggio: c’è quindi molto da fare; guardando in positivo, ampio spazio di miglioramento.
La Royal Bank of Scotland (Rbs), uno dei maggiori gruppi bancari del mondo, ha pubblicato la settimana scorsa un’analisi che ruota attorno a questo concetto: «E’ ora una realtà il fatto che i Piigs possano volare». Nota che «gli investitori stanno sempre più tornando in Europa e nella periferia», una periferia nella quale in questo momento c’è «più valore che nel centro», cioè più che nei mercati tedeschi e nordici. «I dati recenti sulla crescita e sul bilancio sono stati via via più positivi — analizza Rbs —, le riforme stanno arrivando, le agenzie di rating iniziano a promuovere i sovrani (il debito degli Stati, ndr ) e rifinanziarsi è diventato più facile per governi, banche e aziende».
Le previsioni 2014 di crescita del Fondo monetario internazionale per i Piigs sono modeste ma si tratta di miglioramenti che ridurranno «il flusso di fallimenti societari e di crediti incagliati delle banche e aiuteranno il mercato delle abitazioni a recuperare». I deficit pubblici calano. Irlanda e Spagna hanno già realizzato riforme strutturali. Persino l’Italia e la Francia sembrano muoversi in quella direzione. «Il leader del Pd Renzi — nota in positivo Rbs — ha raggiunto un accordo sulla riforma elettorale con il leader di Forza Italia Berlusconi e si è anche espresso a favore di riforme del sistema giudiziario e del mercato del lavoro». Le intenzioni riformiste italiane devono ora essere messe al lavoro e bisogna fare di più. «Ma il cambiamento delle retorica è positivo», come lo sono le privatizzazioni annunciate.
Dieci giorni fa, in un’intervista al Corriere , il banchiere Marco Mazzucchelli (managing director di Julius Bär) ha sostenuto che l’Italia è nella condizione di essere il prossimo mercato emergente. La crisi che stanno attraversando quelle economie indica che gli investitori sono alla ricerca di storie economiche sulle quali investire. Se un governo è in grado di metterla in scena e raccontarla, quella italiana potrebbe essere la più interessante: le potenzialità dell’economia sono alte e la caduta del Prodotto interno lordo degli anni scorsi ci ha molto allontanato dalla potenzialità del Paese. È un’opportunità straordinaria. Volatilità dei mercati a parte, possiamo affrontarla in due modi. Finita la fase acuta della crisi, rimanere a guardare: già visto in passato. Oppure, uscire dalla trincea e fare le riforme che tutti sappiamo necessarie: gli altri quattro dei Piigs sono già balzati in campo aperto .
Danilo Taino
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