by Sergio Segio | 27 Gennaio 2014 8:37
ROMA — Lei lo sapeva. Letta ne aveva discusso con Alfano, aveva preso una decisione e trovato il modo di informarla. Per Nunzia De Girolamo l’esperienza di governo era arrivata al capolinea già da qualche giorno.
Lontano dai riflettori lo aveva chiesto Matteo Renzi, formalizzato il Pd con la richiesta di una discussione parlamentare e deciso il premier. Da qualche giorno il presidente del Consiglio era informato della ricerca di Alfano, ricerca di un ruolo per lei: capogruppo in Parlamento, una carica nel partito, un modo per sostituirla senza umiliarla, senza cedere alle accuse di marca democratica.
Le dimissioni a questo punto tolgono dall’imbarazzo il capo del governo: quando sarà, quando si farà il rimpasto, Letta avrà il compito di sostituirla senza essere costretto a chiederle di farsi da parte. Ci sarà una casella in più da assegnare, forse per il rafforzamento della squadra governativa del Partito democratico, cosa che gli darà maggiore libertà di azione e minore necessità di privarsi di qualche altro ministro.
Sicuramente il partito di Alfano non verrà risarcito, in termini di rappresentanza. E l’esigenza di un riequilibrio fra Ncd e Pd potrebbe anche considerarsi chiusa. Una ricostruzione che viene elaborata da chi è molto vicino al presidente del Consiglio e che ha seguito negli ultimi giorni l’evoluzione del caso.
Quando il caso è uscito dai riflettori, non appena si sono placate le polemiche, allora è saltata anche la difesa di Alfano: del resto la via d’uscita concordata dagli attori principali di questa vicenda era proprio questa. «Il vicepremier non sacrificherà mai la ministra sino a quando sarà oggetto di attacchi politici, ma potrà farlo un minuto dopo e meglio se sarà lei a scegliere di farsi da parte», dicevano la settimana scorsa a Palazzo Chigi; magari, come successo ieri sera, scaricando sul governo la responsabilità di non averla difesa.
Le prime parole governative, ieri, sono state quelle del ministro Maurizio Lupi, compagno di partito della De Girolamo: «Rispetto il grande gesto di dignità di Nunzia, che rispecchia la sua passione per la politica sempre disinteressata e desiderosa solo di voler costruire un futuro più giusto. E di servire il bene comune. Mi dispiace perdere un ottimo ministro, ma so che guadagneremo in ruoli di grande responsabilità una risorsa enorme e tanta energia e passione per l’affermazione del Nuovo centrodestra». Grandi parole di encomio, nessun commento sull’accusa che Nunzia ha rivolto al governo, quel non essere stata difesa, un futuro nel partito assicurato. Il caso insomma è chiuso.
Restano aperti, per Letta, tutti gli altri fronti. L’auspicio del premier è che si abbassino i toni, dopo alcune giornate di eccessiva fibrillazione sulla legge elettorale. Esiste, a suo giudizio, più di un margine perché il Parlamento possa migliorare la bozza di accordo fra Renzi, Berlusconi ed Alfano. E a Palazzo Chigi precisano che il presidente del Consiglio non ha mai detto che sarebbe favorevole al ritorno delle preferenze, bensì che è necessario assicurare la partecipazione degli elettori, «cosa che si può fare benissimo introducendo l’obbligo delle primarie per legge», dicono ora alcuni parlamentari vicini a Letta.
Resta l’urgenza di siglare il Contratto di coalizione, che è in sostanza già pronto e su questo punto il capo del governo spera non ci sia un altro slittamento, viceversa, rimarcano fonti governative, «c’è il rischio che sia il Pd a passare per soggetto che frena le riforme economiche».
Domani Letta volerà a Bruxelles, dove il giorno dopo con la Commissione europea farà il punto sulle prospettive dell’Italia e sul semestre di presidenza italiana della Ue, sperando che nel frattempo la discussione sulla legge elettorale imbocchi una strada meno polemica e più costruttiva.
Marco Galluzzo
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