E le «lepri» dell’export saranno ancora più veloci

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Un’avvertenza però è necessaria all’inizio del nostro piccolo viaggio. Lo scenario è del tutto nuovo e come sottolinea Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi Confindustria, «i confronti con il passato hanno poco senso e i livelli pre-crisi, quelli del 2007, non costituiscono un punto di riferimento». Cominciamo allora dall’occupazione. Sarà senza lavoro? Secondo Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, «solo dal terzo trimestre del 2014 l’occupazione risalirà» e dovremo aspettare la fine dell’anno perché cali anche il tasso di disoccupazione. Si sa, il mercato del lavoro risponde in ritardo e anche l’economista Innocenzo Cipolletta concorda che dovremo aspettare 6-8 mesi prima di vedere novità, anche perché ci sarà tantissima cassa integrazione da riassorbire. Le profonde ristrutturazioni che hanno attraversato il manifatturiero ne hanno anche modificato profondamente l’organizzazione e quindi non sappiamo fino in fondo cosa succederà in tema di organici quando riprenderanno gli ordini. Il terziario potrebbe, invece, creare nuovi posti di lavoro e il caso Esselunga (2 mila assunzioni in due anni) fa sperare.
La ripresa o il rimbalzo sarà esogeno ovvero determinato dalla domanda mondiale. Per quanto riguarda i consumi interni il rimborso dei pagamenti della pubblica amministrazione ha dato e continuerà a dare ossigeno a imprese edili e fornitori della sanità. Per auto ed elettrodomestici, settori portanti della nostra industria, secondo Cipolletta «le note positive si avranno solo nel 2015». Fino ad allora si dovranno accontentare quasi esclusivamente del ricambio di un parco macchine esistente che mostra i segni del tempo. Le buone notizie arrivano, invece, dall’estero. A crescere di più stavolta non saranno i Paesi emergenti ma i nostri tradizionali mercati di sbocco come Germania, Usa e Francia e c’è quindi a disposizione delle nostre imprese esportatrici – che hanno già salvato l’Italia negli anni scorsi – una nuova cavalcata vincente che vale da sola l’1,4% del nostro Pil 2014. «Ne approfitteranno le imprese dotate di marchi internazionali, brevetti, risorse umane adeguate e capaci di operare investimenti diretti all’estero. In breve quelle capaci di stendere reti lunghe» sostiene De Felice. Per Paolazzi a fare la differenza «saranno le qualità dell’imprenditore capace di pensare globale più che questo o quel settore». Esempi da imitare sono quelli, come racconta Cipolletta, delle 40 imprese del mobile di Pordenone che hanno creato Valitalia per vendere negli Usa via web e hanno comprato dei capannoni nel Delaware per stoccare le merci. Il ‘14 quindi accentuerà la polarizzazione dell’industria italiana, da una parte le lepri capaci di correre ancora più veloci nell’arena globale e dall’altra le tartarughe appesantite dalla mancata ripartenza dei consumi interni.
Paolazzi pensa che la ripresina si potrà giovare anche di fenomeni di on-shoring. «Ci si è accorti che delocalizzare spesso vuol dire trasferire competenze ad altri e poi perderle. Si ritorna a produrre in Italia per riacquistare velocità di risposta ai mercato, abilità sartoriale, sviluppare nuove competenze». Fenomeni di questo tipo hanno riguardato la Bosch di Bari e ora la Whirlpool nel Varesotto ma sono condannati a convivere con spinte contrapposte. Che porteranno ancora a produrre in Asia o in Polonia per abbassare il costo del lavoro. Meno ottimista sui ritorni in Italia è De Felice che sottolinea anche come «gli investimenti diretti degli stranieri in Italia sono pressoché inesistenti». A suo dire sono ancora bassi pure gli investimenti nell’ammodernamento degli impianti. Relativamente ottimista è invece Cipolletta che conta su un ricambio quasi obbligato del macchinario. «I competitor stranieri lo fanno e anche i nostri devono mettersi al passo delle tecnologie. L’obsolescenza si paga». Infine l’economista e attuale presidente del Fondo Italiano di Investimento segnala come la ripresa si accompagnerà «a una più accentuata managerializzazione delle imprese vuoi come necessità per tenere il passo globale vuoi perché il cambio generazionale non è più rinviabile».


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