Ecco tutte le località diventate cimiteri di veleni di guerra
? Bari 1943
Italia. Il porto pugliese non è un caso isolato
Molfetta non è certo un caso isolato: «Tutta l’Italia è piena di cimiteri che ospitano creature mostruose» così scrive Gianluca Di Feo nel libro inchiesta «Veleni di stato» (Bur 2009), «Da oltre mezzo secolo fanno finta di dormire e intanto, come draghi in letargo con il ventre pieno di veleni, seminano le loro uova letali nell’acqua, nel terreno, nell’aria». Si tratta di veleni creati per uccidere e per durare. Col passare del tempo, corrodendosi i contenitori, diventano più pericolosi. Il giornalista dell’espresso ha studiato migliaia di documenti d’archivio britannici, americani e tedeschi ricostruendo per primo la mappatura di un’eredità taciuta e silenziata.. Sull’onda del lavoro di Di Feo si è costituito il Coordinamento per la bonifica delle armi chimiche al quale ha aderito anche Legambiente. Una prima breccia nella congiura del silenzio si deve ai lavori di Giorgio Rochat e Angelo Del Boca che hanno rivelato l’impiego di gas letali durante l’invasione dell’Etiopia.
Il retaggio bellico: in Puglia, zona di rifornimento via mare per l’ottava armata in combattimento contro le truppe hitleriane, e in Campania a fine guerra gli americani si sono liberati degli armi che non servivano più. A Manfredonia sul Gargano sono state affondate migliaia di ordigni a caricamento chimico a largo, in una fossa profonda. Ma una delle navi che le caricavano è affondata disseminando le bombe un po’ ovunque, del resto possono riemergere anche da una fossa sottomarina profonda. Stranamente per le discariche di bombe chimiche si sono scelti i posti più belli. Pianosa, la più lontana delle isole Tremiti è una riserva naturale integrale, in realtà è una pattumiera di ordigni bellici. Il golfo di Napoli è stato teatro di massicci smaltimenti di arsenali chimici. Tra Ischia e Capri, nell’abisso che si spalanca tra le due isole sono state scaricate decine di migliaia di bombe al fosgene, all’iprite e al cloruro di cianuro. Nei fondali di Pesaro sono finite le armi abbandonate dalle truppe tedesche in ritirata: 84 tonnellate di testate all’arsenico e 1316 tonnellate di iprite. Non manca il nord, a Monfalcone vicino a Trieste, durante i lavori di ampliamento del porto sono state recuperate dai sommozzatori dello Sdai (corpo della marina militare)150 ordigni all’iprite.
Un capitolo con cui a tutt’oggi nessun governo italiano ha voluto fare i conti è il gigantesco arsenale di armi chimiche e batteriologiche prodotto dal fascismo. Trentamila tonnellate ogni anno prevedevano i piani di Mussolini. Un’eredità coperta da segreti e silenzi. Un arsenale nascosto nei boschi della Tuscia, la chemical city costruita nel 1940 vicino a Ronciglione è stata scoperta nel 1996 quando una nube tossica colpì un ciclista. Nel bunker si trovavano 150 tonnellate di iprite. Nel vicino lago di Vico, riserva naturale piena di veleni, cresce l’alga tossica, come nel mare di Molfetta. Ma dei laboratori del duce si trovavano anche in pieno centro di Roma, negli scantinati del Celio, ospedale militare.
A Colleferro vicino a Roma nell’area industriale si producono armi convenzionali e chimiche dal 1912 fornite nel ’80 all’Iraq di Saddam Hussein. A Bussi nell’Abruzzo lungo il fiume Pescara che disseta metà Abbruzzo , vicino alla fabbrica di iprite,solo nel 2007 è stata scoperta la più grande discarica di rifiuti tossici nascosti nel dopoguerra. A Melegnano alle porte di Milano, dove si è registrato un forte aumento di tumori, delle villette sono state costruite sopra e intorno una exfabbrica di veleni, la Selenio, nei pozzi dell’acquedotto trovate tracce elevatissime di arsenico. Sono solo alcuni esempi. Le fabbriche e depositi di veleni hanno lasciato le loro tracce in tanti posti: da Foggia, con la Saronio, ultimo impianto creato dal fascismo, a Carrara, da Napoli a Milano, da Roma a Verbania.
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