Più sviluppo e meno chador, l’Iran si rifà il trucco

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Fer­vono i lavori per le nuove sta­zioni della metro­po­li­tana di Teh­ran. Sono aperti can­tieri ovun­que per le prin­ci­pali fer­mate del cen­tro da piazza Valy-e Asr a piazza Enghe­lab. Ma l’intera città ha subito un’evidente tra­sfor­ma­zione edi­li­zia: opera del sin­daco di Teh­ran e can­di­dato alle pre­si­den­ziali del giu­gno scorso, Moham­med Qali­baf. Nuove arte­rie, tan­gen­ziali e soprae­le­vate sono spun­tate come fun­ghi in pochi mesi, soprat­tutto nei ric­chi quar­tieri del nord della capitale.

Eppure tutti gli ira­niani sono in fer­mento ora che la Repub­blica isla­mica non è più solo un sistema pre­ca­rio e attac­ca­bile ma una garan­zia per la sta­bi­lità del Medio oriente. Decine di gru si pre­pa­rano lungo via Tak­ta­vous per abbat­tere palazzi e rico­struirli dalle fon­da­menta. Sono decine gli appar­ta­menti pro­messi dai pochi pro­prie­tari del costoso sot­to­suolo cit­ta­dino. Men­tre l’enorme moschea Mou­sal­lah, i cui lavori pro­ce­dono da un decen­nio, ini­zia ad appa­rire nei suoi tratti mae­stosi che fanno pre­sa­gire possa diven­tare il futuro mau­so­leo della guida suprema Ali Khamenei.

Lo scon­tro è sull’edilizia

«Sull’edilizia si gioca ora lo scon­tro tra ultra-conservatori dell’ex pre­si­dente Mah­moud Ahma­di­ne­jad e i tec­no­crati di Has­san Rohani. Il nuovo governo ha bloc­cato il con­fe­ri­mento di appar­ta­menti già asse­gnati a pasda­ran e ammi­ni­stra­tori vicini all’ex pre­si­dente», ci spiega Ali Kazemi, atti­vi­sta poli­tico e soste­ni­tore dei rifor­mi­sti. Lo stesso sta avve­nendo per le con­ces­sioni sulla gestione delle risorse idri­che di nuovo in mano ai tec­no­crati. Secondo Ali, con que­sta poli­tica del muro con­tro muro i mode­rati fini­ranno per per­dere il soste­gno degli strati più disa­giati della popo­la­zione ira­niana. Ma anche tra i rifor­mi­sti il clima non è migliore: Hus­sein Mous­savi e Mehdi Khar­roubi sono ancora agli arre­sti domi­ci­liari e sotto stretto con­trollo delle forze di sicu­rezza. «Prima o poi anche i soste­ni­tori dell’ex pre­si­dente Moham­med Kha­tami abban­do­ne­ranno Rohani per­ché i cam­bia­menti sono lenti a con­cre­tiz­zarsi», pro­se­gue il politico.

Una pri­ma­vera a metà

In Occi­dente si parla di aper­ture nella società civile egi­ziana. Sem­bra che a Teh­ran si rivi­vano i primi due anni di pre­si­denza Kha­tami (1997–2005). Eppure la realtà in Iran è ben diversa. Non c’è segno delle decine di quo­ti­diani che appa­ri­vano allora nelle edi­cole cit­ta­dine. I lea­der dell’opposizione ai domi­ci­liari pos­sono aspet­tarsi migliori con­di­zioni di pri­gio­nia sul modello inau­gu­rato pro­prio da Rohani verso il grande oppo­si­tore dell’ayatollah Ruhol­lah Kho­meini, Hos­sein Ali Mon­ta­zeri, per quasi trent’anni agli arre­sti domi­ci­liari, fino alla sua morte nella città santa sciita di Qom.

Eppure dei pic­coli cam­bia­menti sono per­ce­pi­bili. Alle porte di Dane­shka Teh­ran (il prin­ci­pale ate­neo cit­ta­dino) le donne ira­niane indos­sano il loro hejab in maniera sem­pre più infor­male, tenendo sco­perto quasi l’intero capo. Seb­bene nelle aree popo­lari i lun­ghi e neri cha­dor non man­chino mai, sem­brano dra­sti­ca­mente dimi­nuiti negli ultimi anni.

Pae­saggi al posto di Twitter

Il pro­messo alleg­ge­ri­mento dei con­trolli su Face­bookTwit­ter non è visi­bile. A chi volesse con­net­tersi a que­sti siti proi­biti da una qual­siasi posta­zione inter­net appa­ri­reb­bero delle imma­gini di pae­saggi e le spie­ga­zioni in farsi dei motivi che spin­gono le auto­rità a bloc­care que­sti mezzi. Le email invece sono facil­mente acces­si­bili. Lo stesso suc­cede con i mezzi di comu­ni­ca­zione main­stream euro­pei e sta­tu­ni­tensi, bloc­cati dalle auto­rità ira­niane. Eppure i pic­coli siti di gior­nali stra­nieri spe­cia­liz­zati, tra cui il mani­fe­sto, sono acces­si­bili a tutti. È il segreto della lunga vita della Repub­blica isla­mica: opporre in tutti i modi una sorta di resi­stenza alla moder­nità e alla ripe­ti­bi­lità stan­dar­diz­zata occidentale.

Non sem­pre è pos­si­bile, e così decine di migliaia sono i gio­vani che hanno lasciato il paese per studi uni­ver­si­tari in Gran Bre­ta­gna, Canada e Stati uniti. Per chi resta in Iran, bastano invece dei sem­plici esca­mo­ta­ges. Secondo il mini­stro della Cul­tura, Ali Jan­nati, sono quat­tro milioni gli ira­niani che hanno un account sui social net­work. Non solo, secondo una ricerca dell’attivista socia­li­sta Taghi Azad Armaki, pub­bli­cata dal quo­ti­diano rifor­mi­sta Sharq, il 70% degli ira­niani ha accesso a canali satel­li­tari stra­nieri proibiti.

Nel Caffè Godot di via Enghe­lab tre donne gesti­scono il locale, avvolte nel loro hejab nero, all’esterno un gio­vane fa la sua pic­cola dona­zione nei con­te­ni­tori gialli e blu delle opere cari­ta­te­voli. All’interno del bar, gli avven­tori sem­brano pre­oc­cu­pati soprat­tutto degli aumenti negli zeri del rial, la moneta locale, per i prezzi arri­vati alle stelle a causa delle san­zioni inter­na­zio­nali e della con­se­guente inflazione.

Eppure l’accordo sul nucleare sem­bra scon­giu­rare il declino. Secondo la Banca mon­diale, il 2014 segnerà una cre­scita in Iran del 3,2% dopo un anno di reces­sione. «Cre­diamo nel cam­bia­mento voluto da Rohani. Sarà forse più lento delle riforme di Kha­tami, ma forse più effi­cace, per­ché (Rohani, ndr) sa come dia­lo­gare con i con­ser­va­tori», ci spie­gano Arian e Babak.

Il ritorno delle ong

I primi effetti del nuovo corso si vedono soprat­tutto tra le ong. Se restano ancora chiusi i bat­tenti della think tank di Moham­med Kha­tami «Dia­logo tra civiltà», i rifor­mi­sti pos­sono accon­ten­tarsi di nuovi spazi nella società civile. E così fio­ri­scono siti online su temi sto­rici, cul­tu­rali e diplo­ma­tici (come Iran­di­plo­macy), gestiti da per­so­na­lità poli­ti­che vicine all’ex presidente.

A Rasht, città a nord di Teh­ran e capo­luogo del Gilan, roc­ca­forte dei rifor­mi­sti, tor­nano le mani­fe­sta­zioni orga­niz­zate dalle ong locali. Qui le ragazze viag­giano in bici­cletta e indos­sano hejab scol­lati. Incon­triamo Shi­rin Parsi, fon­da­trice di tre ong locali per la difesa dell’ambiente e il soste­gno alle donne impren­di­trici, ai mar­gini di uno spet­ta­colo orga­niz­zato dai volon­tari della think tank con il coin­vol­gi­mento dei bam­bini della scuola pub­blica locale. «Abbiamo ini­ziato 16 anni fa per fer­mare l’accumulo di rifiuti per le strade della peri­fe­ria cit­ta­dina e favo­rire il rici­clag­gio», ini­zia Shi­rin. «Ora aiu­tiamo le donne ad avviare atti­vità in tutti i campi dall’agricoltura alle nuove tec­no­lo­gie», aggiunge. È cam­biato qual­cosa con l’avvento di Rohani? «Ci sen­tiamo più liberi, negli ultimi otto anni non abbiamo potuto orga­niz­zare eventi come que­sti. Il sin­daco ci sta ascol­tando e otter­remo dei finan­zia­menti per lavo­rare al com­po­stag­gio dei rifiuti nei vil­laggi intorno a Rasht. Potremo avviare le donne che vivono ai mar­gini della fore­sta nel vil­lag­gio di Sharf a nuovi lavori manuali», con­clude sod­di­satta Shirin.

Anziani atti­vi­sti comunisti

In que­sto antico porto sul mar Caspio, con chiare influenze russe, la gente si affretta tra i palazzi in legno della posta e del gover­na­to­rato. Nel vil­lag­gio di Shan­der­man incon­triamo un gruppo di vec­chi soste­ni­tori del par­tito comu­ni­sta ira­niano, ban­dito appena pochi anni dopo la rivo­lu­zione isla­mica del 1979. Il par­tito si scisse tra i soste­ni­tori del modello russo (Tudeh, i cui eredi pub­bli­cano ancora oggi il perio­dico Mar­dom, «Popolo», in Ger­ma­nia) e i seguaci del par­tito comu­ni­sta cinese (Tufan). «Con­ti­nuiamo a vederci spo­ra­di­ca­mente ma non par­te­ci­piamo alla vita poli­tica del paese se non per con­tatti infor­mali con i rifor­mi­sti», assi­cura uno degli atti­vi­sti più anziani.


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