by Sergio Segio | 18 Gennaio 2014 17:23
La vicenda delle navi con le armi chimiche siriane da bonificare appare tragicomica. Intanto perché molti aspetti della vicenda risultano sconcertanti per come essa viene gestita, poi perché molte verità restano in ombra. La mancanza di chiarezza contribuisce d’altra parte ad accrescere i sospetti sul modo in cui la partita viene giocata dalle autorità di governo e ad acuire la tensione sul territorio calabrese.
Le questioni in gioco sono in realtà molteplici e non possono essere ricondotte ad assiomi salottieri o banalizzanti come quando si afferma che, in fondo, si sta solamente operando per il «progresso della civiltà». Essi meritano più di una riflessione, e qualcuna a taglio squisitamente tecnico; si intrecciano aspetti ambientali, economici, logistici, politici.
Un bel carico di armi chimiche dovrebbe lasciare la Siria, attraverso il porto di Latakia, per essere distrutte negli Usa, in Gran Bretagna, in Germania. Le due navi danesi (Taiko ed Ark Futura) di cui si parla in questi giorni, dovrebbero trasportare solo una prima parte di materiale da smaltire (560 tonnellate) verso Gioia Tauro; non è ancora ben chiaro quante altre navi seguiranno la stessa rotta, certamente la vicenda non si risolverà rapidamente. Ma una cosa tutta da chiarire è la necessità del trasbordo a Gioia Tauro sulla nave americana Cape Ray; perché non caricare direttamente le merci a Latakia evitando il transito da porti terzi?
Giocare con armi letali comporta sempre dei rischi e quindi conviene evitarne la manipolazione il più possibile; a Gioia Tauro si dovrà necessariamente far passare le merci attraverso le banchine, atteso che le navi coinvolte non sono navi container, ma navi Ro-Ro (ovvero con portellone e carico orizzontale). Risponde dunque a falsità la notizia che le operazioni di trasbordo debbano avvenire senza sbarco a terra e senza stoccaggio. E i rischi ci sono, ancorchè si tenda a minimizzare. Peraltro le merci permarranno nel porto 24–48 ore. Laddove avvenisse un incidente grave, il migliore dei porti italiani potrebbe perdere tutto il suo valore e la sua attrattiva, paradossalmente per un’attività che nulla ha a che vedere con la sua naturale vocazione di porto commerciale civile.
Perché Gioia Tauro tra tanti porti alternativi nel Mediterraneo? Intanto vi è da dire che a monte, prima ancora di puntare su Gioia Tauro, era stata prescelta l’Italia come nazione protagonista. Quindi nulla a che vedere con le caratteristiche di dotazione o di sicurezza portuale. Perché non Cipro, la Turchia, la Libia, la Spagna, Malta, l’Olanda o il Belgio? Evidentemente il governo nazionale si è assunto una responsabilità notevole e la ministra Bonino, agguerrita sostenitrice dei diritti civili qualche decennio fa, esprime oggi posizioni alquanto discutibili sulla scena internazionale.
Nei giorni scorsi è circolata la voce circa 5 possibili porti nazionali, poi è arrivata la decisione del Governo di puntare su Gioia Tauro. Perché mai? Non occorrono banchine particolarmente attrezzate per la movimentazione perché le navi coinvolte sono imbarcazioni da trasporto relativamente piccole e non richiedono né grandi fondali (hanno meno di 10 metri di pescaggio) né grandi spazi< di manovra. Non occorrono gru di banchina, né tecnologie di movimentazione particolarmente sofisticate, trattandosi di movimentazione di carichi orizzontali. Problemi di sicurezza? Il porto calabrese viene additato, spesso strumentalmente, come pericoloso in termini di security per la sua posizione in terra di mafia e per le cronache frequenti circa i traffici di droga; non risulta allora contraddittorio dichiararlo il porto più sicuro d’Italia? Non sarebbe stato preferibile un porto militare, visto che i rischi sarebbero più legati alla security (atti terroristici) che non alla safety (manipolazione dichiarata a basso rischio)?
Il Governo italiano prova a tranquillizzare asserendo che nel 2013 il porto di Gioia Tauro ha gestito 30 mila tonnellate di sostanze tossiche di categoria 6.1 (su 1500 container) che è la stessa di quella del materiale in arrivo dalla Siria. Da questo punto di vista vi sono molti porti che surclassano di gran lunga Gioia Tauro in termini di volumi e di prestazioni; si dice una mezza verità per avvallare una decisione che, ancora una volta, non sta in piedi.
Ma ci sono altre considerazioni che meritano di essere poste all’attenzione. Nel corso degli ultimi dieci anni il porto di Gioia Tauro è stato isolato e dimenticato nelle politiche di governo nazionale e regionale. Quello che poteva diventare il porto paese, traino di una economia portuale nazionale, è rimasto al palo, sostenuto unicamente dall’iniziativa privata di alcuni grandi gruppi armatoriali. Per il resto si è assistito a varie forme di distrazione amministrativa, con fondi e progetti che sono rimasti sulla carta e crisi pagate a caro prezzo dai lavoratori e dal territorio calabrese. Come non pensare al mancato sviluppo delle reti? In questi anni il porto e il Mezzogiorno hanno subìto politiche scellerate: in Europa perdita del Progetto prioritario 1 Berlino-Palermo, cancellazione del Corridoio 21 (Autostrade del Mare), in Italia mortificazione del trasporto via ferro che ha impedito a Gioia Tauro di risultare competitivo dal punto di vista della logistica rispetto ai porti del Nord Europa (da una decina di treni/giorno, in pochi anni si è scesi a zero); in Regione con programmi sbandierati sui giornali e sempre disattesi (mancato insediamento di imprese, mancato sviluppo della logistica, gateway ferroviario rimasto una chimera). E’ evidente che Gioia tauro si aspettava altro, meritava ben altro.
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