by Sergio Segio | 18 Gennaio 2014 8:34
GERUSALEMME — Nelle stesse ore in cui Avigdor Liberman convoca quattro ambasciatori europei (tra loro l’italiano Francesco Maria Talò), Laura Boldrini incontra i parlamentari palestinesi. Il ministro degli Esteri israeliano e tutto il suo governo criticano gli interventi dell’Unione Europea, replicano irritati alle proteste contro gli annunci di nuove abitazioni nelle colonie, le azioni coordinate da Bruxelles vengono bollate come intralci alla ricerca di un accordo di pace.
A Ramallah — racconta la presidente della Camera — il ruolo dell’Europa è considerato invece fondamentale. «I palestinesi vorrebbero una componente europea più forte nei negoziati, senza nulla togliere agli sforzi di John Kerry, il segretario di Stato americano. Si sentirebbero più garantiti».
È l’ultimo giorno della visita in Israele e nei territori cominciata martedì, durante una settimana agitata dallo scontro Israele-Ue e dall’incidente diplomatico con Washington generato dalle parole di Moshè Yaalon, il ministro della Difesa. Segnali — commenta Boldrini — che «le trattative di pace si stanno avvicinando a qualcosa di concreto, così le parti alzano il tiro».
Ha visto Yuli Edelstein («sono qui anche per contraccambiare la sua visita a Roma») e con il presidente del Parlamento israeliano ha discusso proprio delle opinioni espresse da Yaalon contro Kerry (tra le altre: «Gli diano il premio Nobel e ci lasci tranquilli») e che gli americani hanno definito «oltraggiose». «Edelstein ha subito sminuito il caso, mi ha detto che era importante andare oltre l’episodio. Ha riconosciuto che le frasi di Yaalon hanno dato voce alle angosce sentite da una parte degli israeliani».
I deputati palestinesi le hanno ribadito che «il diritto al ritorno dei rifugiati è un punto irrinunciabile. Ma sono consapevoli che non esista alternativa al trovare un’intesa». Con loro ha parlato anche dei palestinesi rimasti intrappolati nella guerra siriana, di come la crisi e gli spostamenti dei civili in fuga stiano premendo su Paesi come la Giordania.
A Tel Aviv ha visitato il Centro Peres dove ha conosciuto gli israeliani impegnati nelle organizzazioni che aiutano gli immigrati clandestini (soprattutto dal Sudan e dall’Eritrea) e gli attivisti dei movimenti per la pace. «Ho trovato una società civile dinamica, differenziata, che è un segno di democrazia». All’università le sono stati presentati i progetti della «nazione start-up», le innovazioni tra Web e biotecnologie.
Giovedì il viaggio verso sud e Gaza, dopo che cinque missili sono stati sparati all’alba dalla Striscia contro le città israeliane e l’aviazione ha risposto bombardando alcune postazioni degli estremisti. «È come entrare in un altro mondo, a soli 60 chilometri dalla sofisticata Tel Aviv. C’è una crisi umanitaria in corso che non si può sottovalutare, la libertà di movimento è molto limitata, frustra le aspettative dei giovani. Si sopravvive solo grazie agli aiuti dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, e sono essenziali anche gli interventi della cooperazione italiana. Questa situazione intollerabile alimenta la rabbia».
Davide Frattini
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