by Sergio Segio | 18 Gennaio 2014 8:13
La sorpresa delle sorprese dell’economia del 2014 potrebbe essere l’Italia. «C’è lo spazio per effettuare la madre di tutte le rimonte», sostiene Marco Mazzucchelli, managing director della banca svizzera Julius Bär. La sua opinione è sfrontatamente controcorrente se si considerano le quantità di notizie negative che dall’Italia si sono riversate sui mercati mondiali negli ultimi anni. Ciononostante, non è un augurio ma è fondata su un’analisi che sta iniziando a farsi spazio tra gli economisti e gli strateghi di mercato. «Siamo in una congiunzione astrale favorevole: se colta potrebbe trasformare l’Italia nel mercato emergente maggiore del mondo», dice il banchiere italiano.
Il punto da cui partire è il cambio di stagione che sta attraversando la globalizzazione. «Da alcuni mesi, è in atto un’inversione di tendenza secolare — secondo Mazzucchelli —. I capitali escono dai mercati emergenti per tornare in quelli maturi». Una dozzina d’anni di crescita caratterizzata da Cina, India, Russia, Brasile e economie simili sta esaurendosi. Nella visione generale del ciclo economico, per dire, la Cina è al di sotto del suo potenziale di crescita più di quanto lo siano, in ordine crescente, l’economia mondiale e quelle di Canada, Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Svizzera (analisi di Julius Bär). Alcune ragioni di questo cambiamento sono di lungo periodo: la fine del boom dei prezzi delle materie prime che negli anni scorsi ha beneficiato molti emergenti; altre di breve ma potenzialmente dirompenti: il tapering della Federal Reserve americana — cioè la fine progressiva del suo intervento sui mercati allo scopo di tenere bassi i tassi d’interesse — che colpisce quei Paesi che hanno deficit delle partite correnti e faticano a finanziarsi (lo si è già notato in India e Turchia); altre ancora sono legate all’instabilità politica: in India, Turchia, Tailandia, Sudafrica, persino forse in Cina.
Il radicale cambio di scenario significa un ritorno di masse di denaro, cioè di investimenti, nei Paesi sviluppati. «Finora — dice Mazzucchelli — ne hanno beneficiato i Paesi maturi con maggiore momento di crescita, ad esempio Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, oppure quelli che più hanno fatto in termini di riforme per invertire la rotta — Irlanda, Spagna e la stessa Grecia. Ma dobbiamo domandarci quale sarà il nuovo mercato emergente». La sua risposta/azzardo è: l’Italia. «Anzitutto, tra i grandi Paesi maturi è quello con il gap maggiore rispetto al pieno potenziale: il reddito pro capite è sceso di ben oltre il 10% rispetto al picco massimo». In secondo luogo, le imprese italiane funzionano abbastanza nonostante i limiti strutturali del Paese: il grafico delle aspettative dei responsabili degli acquisti indica che in Italia sono positive. «E i fattori che oggi debilitano i mercati emergenti non ci toccano — sostiene il banchiere —. Beneficiamo del ribasso dei prezzi delle materie prime, non abbiamo ricevuto capitali drogati dalla Federal Reserve, conviviamo con l’instabilità politica da generazioni».
Soprattutto, c’è una sorpresa in quello che negli ultimi tempi è stato forse l’handicap più forte per l’economia italiana: il sistema bancario che non presta denaro a imprese e famiglie. Mazzucchelli dice che i recenti rialzi di Borsa delle banche europee, attorno al 10%, riflettono «non una fugace euforia di inizio d’anno, bensì sono sostenuti dalla consapevolezza che il temuto momento della verità — cioè il complesso delle regole di Basilea e i controlli sul sistema effettuati della Banca centrale europea — possa avere luogo in un contesto assai più favorevole del previsto». Migliorano le sofferenze bancarie, i rischi legati ai titoli degli Stati nei bilanci degli istituti di credito sono diminuiti, la fiducia negli interventi reali e possibili della Bce si è consolidata.
In più, le cosiddette regole di Basilea — che riguardano la quantità di capitale che le banche devono possedere a seconda delle loro attività e dai rischi che prendono — nei giorni scorsi sono stati ammorbiditi. Questo ammorbidimento potrebbe essere in generale negativo. In un recente articolo, il capo della ricerca macroeconomica della Royal bank of Scotland, Alberto Gallo, ha sostenuto che le nuove regole di Basilea «vanno in favore dei grandi gruppi di investment banking, invece di aiutare le banche a fare ciò di cui hanno bisogno: prestare». I banchieri centrali riuniti a Basilea hanno annacquato il minimo obbligatorio di capitale che gli istituti di credito devono possedere: il che potrebbe indebolirli di fronte a una crisi come quella del 2008.
Nel breve periodo, però, la fase di contrazione del credito sembra finita e, soprattutto, il gap tra banche dell’Europa «forte», che prestavano, e quelle dell’Europa «debole», che non prestavano, si sta chiudendo. Il grafico nella pagina segnala la convergenza tra periferia e cuore dell’Europa e indica anche che sta finendo la fase in cui le banche avevano smesso di prestare per mostrare di avere meno rischi e quindi rispondere con più facilità agli stress-test a cui le sottoporrà la Bce nei prossimi mesi. «I segnali provenienti da Basilea fanno pensare che il castigo per le banche sia finito», dice Mazzucchelli.
Insomma, l’Italia è in potenza la prossima grande «economia emergente». «Una regola dei mercati — dice Mazzucchelli — è che vanno sempre dove fa più male. Quel luogo oggi è l’Italia, perché tante cassandre hanno convinto i più che ormai il Paese è fuori dai giochi e quindi molti ne sono usciti: la rimonta li prenderebbe in contropiede». Il solo guaio è che per creare il circolo virtuoso servono riforme che liberino la possibilità di fare economia: è la sola stella — politica — che manca alla «congiunzione astrale».
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