by Sergio Segio | 17 Gennaio 2014 11:38
Voto, voto, e ancora voto. Ma prima, la Cgil deve ritirare la firma che Susanna Camusso ha posto sotto l’ultimo accordo sulla rappresentanza, nella versione siglata con Cisl, Uil e Confindustria lo scorso 10 gennaio. Il Direttivo che si apre oggi in corso d’Italia non sarà per nulla tranquillo: il segretario della Fiom Maurizio Landini ha convocato apposta ieri un comitato centrale della Fiom, in modo da arrivare all’appuntamento con la confederazione, forte del consenso della propria categoria. E in effetti, con 106 voti a favore (che includono anche quelli di diversi «camussiani» dissidenti) e 14 contrari (Bellavita, area cremaschiana) ha le spalle ben coperte. Dall’interno.
È vero che la segretaria Camusso ha dalla sua la gran parte dei leader delle diverse categorie: Fillea (edili), Filcams (terziario), Filctem (tessili, chimici, elettrici), Fp (impiegati pubblici), Slc (comunicazioni) hanno fatto quadrato per difenderla. Senza parlare ovviamente dei segretari confederali, con una eccezione: Nicola Nicolosi, coordinatore di Lavoro Società, pur facendo parte del «consiglio dei ministri» della Cgil, ha ammesso che c’è un problema di democrazia interno, spiegando che in effetti Camusso non sta facendo altro che chiedere una ratifica a posteriori (o una bocciatura, per quanto improbabile) dopo aver già praticamente deciso da sola di firmare l’accordo.
Va detto che in Cgil funziona spesso così: i direttivi non sono altro, nella maggior parte dei casi. che sede di ratifica di decisioni già prese dall’esecutivo del sindacato. Ovviamente il sistema va bene (è pur sempre una organizzazione «privata», con una sua autonomia) finché tutti o quasi sono d’accordo: ma il meccanismo si inceppa quando pezzi importanti, come la Fiom e la sinistra interna, non concordano.
Il nodo sta tutto nel rapporto tra la versione dell’accordo siglato il 31 maggio e quella del 10 gennaio: secondo Camusso, l’ultimo testo firmato non è altro che un regolamento attuativo, e «ogni allarme è inesistente»; al contrario per Landini, e anche per Nicolosi (come spiega nell’intervento che pubblichiamo in questa pagina), ci sono delle mutazioni di merito. In particolare, si accentua il nodo delle sanzioni cui verrebbe sottoposto il sindacato che non rispetta gli accordi, e più in generale, nota il segretario Fiom, «si restringono le libertà sindacali, si introduce l’arbitrato interconfederale, che sottrae autonomia alle categorie»: insomma, «si estende il modello Fiat Pomigliano a tutte le imprese», e «dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, quell’intesa potrebbe contenere profili di illegittimità».
Ecco dunque la richiesta approvata ieri dal comitato centrale della Fiom, che oggi Landini terrà stretta nella sua mano varcando la porta scorrevole del palazzo di Corso d’Italia: «Chiediamo il ritiro della firma sul testo sulla rappresentanza, per riaprire il negoziato che modifichi l’accordo. Se ciò non avvenisse, chiediamo che ci sia il voto dei lavoratori o almeno degli iscritti». E siccome è altamente probabile che il Direttivo boccerà questa proposta (mai aspettarsi guizzi di fantasia e di freschezza, si rischia di rimanere sempre delusi), è possibile che la Fiom scelga di non applicare l’intesa nelle fabbriche, aprendo dunque un conflitto con le imprese.
Intanto lo stesso congresso «pagherà», in termini di scontri interni: il percorso verso la tre giorni di Rimini (6–7-8 maggio) appare meno unitario di quanto era stato preventivato inizialmente, visto che Landini è firmatario del documento di maggioranza di Camusso.
E per rendere plasticamente il fatto che il «modello Pomigliano» viene così esteso a tutti, oggi al direttivo si presenteranno le Rsa della Fiat napoletana: con una lettera a Susanna Camusso, già forte di «centinaia di adesioni in tutta Italia», dove si chiede di aprire «una fase democratica sull’accordo».
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