by Sergio Segio | 17 Gennaio 2014 9:33
ROMA — Le imposte sulla casa spingono i sindaci ed il governo ai ferri corti. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, difende la mini-Imu del 2013, che costerà «meno del 10% di quanto sarebbe stato dovuto», ed escludendo un nuovo rinvio della scadenza del 24 gennaio, ma spiegando che il governo non poteva farsi carico delle decisioni «ad hoc» prese dai Comuni che hanno alzato l’aliquota sulla prima casa dopo la decisione dell’esecutivo di sospendere il suo versamento per il 2013. I sindaci attaccano invece sulle tasse del 2014: secondo loro con la riforma mancano 1,5 miliardi, «per avere le stesse risorse del 2013», e contestano la decisione del governo di concedere un eventuale aumento delle aliquote della Tasi per le detrazioni.
«Noi restiamo coerenti con l’impostazione del governo di non aumentare l’imposizione fiscale e soprattutto, se aumenta, non siamo noi ad aumentarla» dice il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino. I sindaci sollecitano 500 milioni per le detrazioni, più un miliardo per pareggiare i fondi del 2013, ma non vogliono chiederli loro ai cittadini. «Si possono ottenere — dice Fassino — ad esempio riconoscendo ai Comuni l’Imu che lo Stato percepisce sugli immobili strumentali delle imprese». Quindi con un trasferimento dello Stato centrale, che però dovrebbe essere coperto con altre entrate o tagli di spesa per non far sballare i conti pubblici. Il governo tiene la porta aperta al dialogo con i Comuni con il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta, che conferma la disponibilità già offerta dal ministro Graziano Del Rio, ad un confronto sulle risorse «già all’inizio della prossima settimana». Anche se i sindaci confermano la mobilitazione. Un altro fronte di attrito per il governo, questo con il Parlamento, riguarda la rivalutazione del capitale Bankitalia previsto dallo stesso decreto della mini-Imu, che Saccomanni ha chiesto ieri alla Commissione Finanze della Camera di convertire, dati i tempi strettissimi senza modifiche. Per il ministro la rivalutazione delle quote a 7,5 miliardi (oggi hanno un valore nominale di 156 mila euro), con un limite di 450 mila euro alla distribuzione dei dividendi serve a dare certezza normativa e a rafforzare anche il patrimonio delle banche, «senza pregiudicare l’autonomia e l’indipendenza della Banca, senza dar luogo a conflitti d’interesse». Per Daniele Capezzone, presidente della Commissione, di Forza Italia, è un «regalo alle banche», mentre per Renato Brunetta, del suo stesso partito, il valore di 7,5 miliardi è «troppo basso». Ieri Equitalia ha diffuso i dati sulle riscossioni 2013, ammontate a 7,1 miliardi (-5% sul 2012), per un totale di 55 miliardi in 7 anni. La riscossione, ha detto il presidente, Attilio Befera, potrà migliorare con una miglior interazione tra tutte le banche dati, ed il ripensamento della Sogei. Nel frattempo si avvicina la scadenza del 31 gennaio per la razionalizzazione delle detrazioni, senza la quale scatterà il taglio dal 19 al 18%: secondo la Uil sarebbero almeno 25 euro in meno, in media.
Mario Sensini
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