Migrantes (Cei): «Via la Bossi-Fini». E anche l’Europa riveda le sue leggi

by Sergio Segio | 16 Gennaio 2014 14:26

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E non solo la Bossi-Fini, ma secondo il vescovo è l’intera nor­ma­tiva euro­pea in tema di immi­gra­zione ad essere ina­de­guata: «Lam­pe­dusa – isola che fa parte della “sua” dio­cesi – è il con­fine dell’Europa, oltre che dell’Italia, e a Lam­pe­dusa si vive la con­trad­di­zione di per­sone e fami­glie aperte alla soli­da­rietà e all’accoglienza in uno Stato e in un’Europa che invece chiu­dono le porte».

Ieri, in occa­sione della con­fe­renza stampa di pre­sen­ta­zione della Gior­nata mon­diale del migrante e del rifu­giato che si cele­brerà dome­nica pros­sima in tutte le par­roc­chie e in piazza San Pie­tro con il mes­sag­gio di papa Fran­ce­sco («Migranti e rifu­giati: verso un mondo migliore»), i respon­sa­bili del set­tore immi­gra­zione della Cei hanno rivolto un severo monito alla poli­tica, sia ita­liana che euro­pea, inca­pace di affron­tare la que­stione se non in ter­mini di sicu­rezza e di difesa dei “sacri confini”.

«Non si può affer­mare che l’immigrazione è una prio­rità e poi negarlo nei fatti, nei pro­ce­di­menti e nei pro­cessi poli­tici, per que­stioni di inte­ressi o per una media­zione che si rag­giunge mai», ha detto mon­si­gnor Gian­carlo Perego, diret­tore della Migran­tes. «Biso­gna cam­biare subito la legi­sla­zione euro­pea e ita­liana e deci­dere di inve­stire più in inte­gra­zione che in sicu­rezza». Oggi invece si spende la mag­gior parte delle risorse per i Cie e i respin­gi­menti e per «l’integrazione — con­ti­nua — restano le bri­ciole». Per Perego, favo­rire l’integrazione signi­fica inve­stire in «ser­vizi sani­tari» e «scuola», ovvero «i luo­ghi nei quali si costrui­sce sicu­rezza sociale».

La causa? Anche la crisi. Ma è un alibi, anzi una scusa, aggiunge il diret­tore della Migran­tes: «Ci si nasconde die­tro alla crisi per dimi­nuire la qua­lità della nostra demo­cra­zia. Basti pen­sare sem­pli­ce­mente a come ci sia stata una caduta della tutela dei diritti dei lavo­ra­tori. I sette ope­rai cinesi arsi vivi nell’azienda tes­sile di Prato ne sono una testi­mo­nianza, gli sfrut­tati delle cam­pa­gne dal nord al sud Ita­lia o nella can­tie­ri­stica ne sono un segno. La crisi sia letta anche guar­dando all’immigrazione, solo così se ne può uscire».

I numeri ricor­dati dalla Fon­da­zione Migran­tes sono elo­quenti: in Ita­lia 1 lavo­ra­tore su 10 è un immi­grato; i lavo­ra­tori immi­grati «sotto-inquadrati» sono il 61% con­tro il 17% dell’Europa, ovvia­mente senza tener conto di quelli in nero; le retri­bu­zioni degli immi­grati sono infe­riori a quella degli ita­liani del 24,2%; 100mila infor­tuni sul lavoro denun­ciati riguar­dano lavo­ra­tori immi­grati, con una per­cen­tuale dop­pia e talora tri­pla rispetto a quella degli ita­liani, senza con­tare i cosid­detti «infor­tuni invi­si­bili»; nelle scuole ita­liane ci sono 800 mila stu­denti stra­nieri, il 47% dei quali di seconda gene­ra­zione; i matri­moni misti hanno rag­giunto quota 400mila, con un incre­mento di 24mila ogni anno.

«La poli­tica deve avere corag­gio», aggiunge mon­si­gnor Mon­te­ne­gro. «Nes­suno può fer­mare il vento e la sto­ria. Non si può pen­sare improv­vi­sa­mente di chiu­dere le porte. Per­ché la sto­ria e la geo­gra­fia ci dicono che quelle per­sone hanno biso­gno di vivere e di soprav­vi­vere. La poli­tica deve pren­derne atto e smet­tere di affron­tare que­sto fatto sem­pli­ce­mente come una emergenza».

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