by Sergio Segio | 16 Gennaio 2014 7:56
TORINO —La lettera di dimissioni è partita a mezzogiorno. «Irrevocabili». Sergio Chiamparino smette i panni del banchiere e torna alla politica, da candidato governatore del Piemonte. «Era da tempo che ci pensavo. Ma ho deciso a Natale, dopo aver riletto il Doctor Faustus di Thomas Mann. Quando il diavolo dice ad Adrian, il protagonista, che può fingere di non vederlo ma non può ignorare la sua esistenza, ho messo giù il libro e mi sono messo a pensare. Il mio diavolo è la politica. Credo che sia necessario ragionare con la testa, ma sentire anche quello che ti dice la pancia».
L’espressione arcigna e tutto il resto sono quelli di sempre. Ma qualcosa è cambiato. A cominciare dal luogo dove avviene il colloquio, nel suo ufficio al prima piano della Compagnia di San Paolo. In questi quasi due anni non ha fatto il Cincinnato, ma il banchiere, mestiere assai indigesto alla pancia della sinistra. «La Compagnia non è una banca ma una fondazione, anche se ancora troppi usano questi due termini come fossero sinonimi. Certo, le fondazioni hanno importanti partecipazioni nei loro istituti, che a mio avviso vanno ridotte drasticamente, e io durante il mio mandato mi sono mosso in tal senso. Ma i veri luoghi di commistione impropria tra politica e finanza non sono certo le fondazioni». La precisazione viene scandita sillaba per sillaba. L’argomento è di quelli sensibili, e verrà cavalcato dai suoi avversari. «Io uomo dei poteri forti? Come no, peccato che abbiano pochi voti… Se l’etichetta è dovuta all’aver costruito nei miei anni da sindaco un sistema di relazioni che ha sostenuto un amministrazione credibile, allora la rivendico».
Eppure c’era già stato un addio alla politica. Quando molte sopracciglia si alzarono per l’incarico in Compagnia di San Paolo, la risposta fu che erano stati tagliati i ponti con il passato. «Vero. Ammetto che questo possa dare luogo al rimprovero di non avere mantenuto fede a un impegno preso. Posso solo rispondere con sincerità: come ho appena detto, la mia passione è la politica. Ho passato due anni a nascondermi quando il mio nome veniva fatto per incarichi di ogni sorta. Sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione politica in tutto questo tempo. Non ho mai sovrapposto i ruoli. Adesso ho deciso di confessare, in primo luogo a me stesso, cosa vorrei fare per il tempo che mi rimane. Ho deciso senza avere alcun paracadute, perché nessuno sa quando il Piemonte voterà. Mi si conceda questo: nella mia carriera politica ho vinto, ho perso, ma ci ho sempre messo la faccia prendendo i miei rischi».
Il tempo passa, per tutti. Nel 2011 lasciava Torino con un tesoretto di popolarità quasi imbarazzante per colleghi e compagni di partito. Il Chiamparino di oggi è un uomo che ha compiuto 65 anni, non certo il nuovo che avanza in tempi in cui la gioventù va di gran moda, almeno per la politica. «La definizione di vecchio arnese mi sembra impietosa. Piuttosto, noi siamo uomini maturi… così suona meglio. In questi giorni un mio amico mi ha detto che sono come la Coca Cola, ed era un complimento. Intendeva dire che non sono percepito come un prodotto vecchio. Ma è vero che qualcosa è cambiato. La mia prospettiva, ad esempio. Mi candido alla regione Piemonte perché credo di aver qualcosa da dare in quel ruolo, e non per avere un trampolino di lancio. Sono qui, e non andrò da nessuna altra parte. Non voglio togliere il posto in Parlamento a un giovane. Se vinco, quello di governatore sarà il mio ultimo incarico. Mi immagino come una specie di chioccia. Ma attenzione, per alcuni ruoli, penso al Bilancio e alla Sanità, serve anche l’esperienza. Non voglio confondere il rinnovamento con l’innovazionismo».
Solo due anni, ma in politica corrispondono ad altrettante ere geologiche. Dopo tanto tacere, Chiamparino ha voglia di parlare. Avanti, in ordine sparso. Le primarie? «Se ci saranno, non le evito. A condizione che non siano finte. Fare corsa solo con me stesso mi sembrerebbe ridicolo». Matteo Renzi? «Nel 2010 ero l’unico rottamando in pectore presente alla sua prima Leopolda. Sta trasmettendo i messaggi e l’energia giusta, ed è consapevole del fatto che per ottenere risultati bisogna fare squadra. Il Pd, adesso o mai più». Il governo Letta? «Risente del profilo di compromesso che lo ha sorretto fino ad ora. Le larghe intese sono state vissute come una necessità, una costrizione. Quando non si ha nettezza di programma, i continui aggiustamenti in nome del quieto vivere trasmettono una sensazione di grande incertezza. Spero che dal patto di governo spuntino le riforme costituzionali. Il Senato, la legge elettorale. Poi al voto». I Cinque Stelle? «In questo sono renziano fino al midollo. Loro parlano, noi dobbiamo fare, senza corrergli dietro».
La sua forza sta nella sua capacità di essere trasversale. Insomma, piace e guarda anche ai moderati, al centro. Con qualche distinzione. «In Piemonte il Nuovo centrodestra di Alfano è al governo. Se rimarrà schiacciato fino all’ultimo su Cota, con me il discorso è chiuso. Se invece prende le distanze per tempo da questo accanimento terapeutico, se ne può parlare». Il messaggio è chiaro. Un invito, piuttosto caloroso, a porre fine all’attuale governo regionale, sul quale non ritiene di fare commenti. La politica gli è mancata molto. Con o senza paracadute, Chiamparino ha fretta.
Marco Imarisio
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