Il leader attacca a tutto campo: «Subito ius soli e unioni civili»

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ROMA — Matteo Renzi torna in diretta su Twitter, si scusa per la mezz’ora di ritardo e poi tira giù un burrascoso torrente di parole che rischiano di sommergere Palazzo Chigi. «È il nostro governo e dobbiamo incalzarlo, ma basta figuracce come quella dell’Imu». Per lui affermare che l’esecutivo «ha fatto poco è un eufemismo» e per chiarire il concetto lancia l’hashtag «no marchette». E Nunzia De Girolamo? Per lui deve lasciare: «La Idem si è dimessa…».
La tregua (armata) con Enrico Letta è a rischio, tanto che domani il premier potrebbe non andare alla Direzione nazionale. A sera il leader prova a placare le acque, giura che lui con Letta non ha «mai litigato» e definisce «stucchevole il giochino del chi logora chi». Il problema è che adesso il segretario prende di mira Alfano: «Quanto staremo al governo con Ncd? Il tempo necessario a fare approvare anche a loro lo ius soli e le unioni civili alla tedesca». Incalza, avverte, mette il vicepremier bruscamente alla prova: «Se non vogliono più fare le riforme costituzionali ce lo dicano, ma sarebbe una sorpresa».
L’attacco è a tutto campo. Investe la squadra, minaccia l’accordo di maggioranza, riaccende i dissidi interni ai democratici. «Proponiamo agli altri un patto che tenga insieme legge elettorale, revisione del Senato e Titolo V» risponde sul social network, legando la riforma del sistema di voto alla riscrittura della Carta. E se a Palazzo Chigi temono che il segretario voglia il voto, lui tranquillizza Letta: «Ci mettiamo almeno un anno…». Ma subito torna all’attacco e si dice «veramente colpito» dal «clamoroso passo indietro» di Alfano: «Se Ncd dice no a una delle nostre tre proposte, apre un problema». A farlo arrabbiare è stata l’idea di tagliare da 315 a 210 il numero dei senatori: «Non condividiamo la proposta di Ncd. Per noi va tolta ogni funzione elettiva». E ancora, con un aggettivo non proprio affettuoso agli alleati di Ncd: «Per me il Senato non deve rimanere in piedi… Questi che dicono sì, eliminano le cose e poi le tengono lì, non pensino di far finta che noi non ce ne accorgiamo». Renzi ancora non sceglie fra i tre modelli di legge elettorale che ha indicato, ma si dilunga in difesa di quell’«ispanicum» che piace a Berlusconi: «A noi vanno bene tutti e tre, ma lo spagnolo garantisce governabilità e impedisce le larghe intese». E quando un oppositore lo provoca chiedendogli se manderebbe sua figlia ad Arcore e come pensi di fare una legge elettorale con il Cavaliere, lui si irrigidisce: «Spero per lei che le abbiano spiegato la differenza, ma non credo».
È un nuovo, insidiosissimo fronte. Ancor più del rimpasto, «vecchio e stantio». Renzi spazza via sospetti ed elucubrazioni: «Piacerebbe ai grillini che il Pd si mettesse in una sorta di compro-baratto-vendo di poltrone… Ma non ci caschiamo. Il premier può chiedere opinioni ai partiti, ma la scelta sui propri collaboratori spetta al capo. Se pensa che alcuni ministri non stiano andando bene, fa benissimo a cambiarli». Il leader aspetta di sentire come, nell’aula della Camera, De Girolamo spiegherà i fatti della Asl di Benevento e, su quella base, i democratici prenderanno una posizione unitaria: «Niente processi in contumacia». Ma il punto che gli sta cuore è questo, è prendere distanze da un problema che non ritiene suo: «La domanda va fatta a Letta, che non mancherà di prendere posizione in modo rapido». Come a dire che tocca al premier decidere, al premier assumersi la responsabilità di chiedere al ministro un passo indietro. E Cancellieri? «Per me doveva lasciare e non ho cambiato idea». Gli chiedono se non tema la «trappola» del Letta bis e lui, sferzante: «Il mio obiettivo non è stare col fiato sul collo a quelli del governo, c’è di meglio per me». Dove il «quelli» è rivolto a Letta e ai suoi ministri. Ma quando gli chiedono di Napolitano lui prontamente lo difende: «Non si tocca». Tagliente, battagliero, a tratti ironico risponde ad oltre cinquanta domande, senza schivare le più antipatizzanti e spesso cavalcando l’onda dell’anti-politica: «Perché i sottosegretari devono viaggiare in auto blu? Vadano a piedi».
Nel Pd il clima è tesissimo. A sera, mentre il leader incontra i senatori, Gianni Cuperlo riunisce i suoi deputati. Ci sono i dalemiani, i bersaniani, i «giovani turchi» di Orfini e c’è anche Stefano Fassina. Che fare? Dialogare con i renziani o dar vita a una corrente di minoranza? La riunione è stata nervosa, complessa e non ha sciolto il nodo.
Monica Guerzoni


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