Vent’anni fa spariva la Dc mezzo secolo di potere e la diaspora non è finita

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ROMA — Sono passati vent’anni dalla fine della Democrazia cristiana. Fu infatti alle 16,10 del 18 gennaio 1994 che Mino Martinazzoli fondò – rifondò, avrebbe preferito lui – il Partito popolare. Fu l’uscita di scena dopo mezzo secolo del partito che aveva governato l’Italia e impersonato, nel bene e nel male, il potere italiano. Eppure, vent’anni dopo, gli ex democristiani non sono d’accordo nemmeno sulla data del trapasso, della dipartita, insomma della morte della Dc. C’è chi dice che era già avvenuta prima, c’è chi dice che sarebbe arrivata solo dopo, anche se tutti riconoscono che quel giorno del 1994 cambiò la storia.
Martedì 18 gennaio, santa Liberata, la politica è in gran fermento. Due giorni prima Oscar Luigi Scalfaro ha sciolto le Camere, e indetto le elezioni per il 27 marzo. Si voterà con una nuova legge elettorale, firmata dal democristiano Sergio Mattarella, e nessuno sa prevedere come funzionerà. O meglio: tutti sono convinti del proprio trionfo. Alle Botteghe Oscure, Achille Occhetto è sicuro che vincerà la sua «gioiosa macchina da guerra». Silvio Berlusconi, che sarà il vincitore, non è ancora sceso in campo. A piazza del Gesù, Mino Martinazzoli coltiva il sogno di restare in sella, rimanendo al centro, anche nell’Italia del maggioritario. Ma sa che il nome della Dc ormai è macchiato per sempre dalle inchieste di Mani Pulite. Sogna un ritorno alle origini: vuol ripartire da don Sturzo. Così ha scelto accuratamente quella data, perché il 18 gennaio di 75 anni prima il prete di Caltagirone aveva lanciato il suo appello “ai liberi e forti”. E con lo stesso criterio Martinazzoli ha scelto il luogo dell’evento: palazzo Baldassini, la sede dell’istituto intitolato a Sturzo. A cinquecento metri dall’Albergo Santa Chiara, dove nel 1919 era stato lanciato quell’appello entrato nella storia.
La giornata però è cominciata male, per lui. All’hotel Minerva – l’albergo più vicino al Santa Chiara – Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella e Francesco D’Onofrio hanno radunato quelli che non ci stanno, una ventina di parlamentari, e hanno
scelto come simbolo una vela e un piccolo scudo crociato. Si chiameranno Centro Cristiano Democratico, Ccd, rovesciando il nome che Martinazzoli vuole archiviare, e nella nuova Italia del bipolarismo vogliono scegliere subito da che parte stare: contro Occhetto, con Berlusconi. «La disperazione ti dà una grande forza interiore – spiega oggi Casini – e noi sentivamo che era inesorabilmente finita una fase della nostra vita. Questo ci dava tristezza, ma anche fiducia ed entusiasmo per la nuova avventura. Sostanzialmente accettammo subito il bipolarismo, anche se sognavamo un bipolarismo diverso, nel quale gli avversari si legittimano a vicenda, mentre le cose non andarono poi così».
Un pezzo del partito dunque se ne sta andando, ma il segretario della Dc non se ne cura. E sorride, quando legge che nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, cioè accanto a Casini e Mastella, il cardinale Palassini ha detto nell’omelia che in politica «le divisioni sono opera del diavolo».
«Tutto era stato preparato con cura » ricorda Pierluigi Castagnetti, allora capo della segreteria politica. «Martinazzoli voleva chiudere la storia della Dc ripartendo con un nuovo progetto: un ricominciamento, come amava dire lui. C’era una soffeaveva
renza anche personale in tutti noi. Sentivamo che stavamo facendo una scelta ineluttabile ma storica: Tangentopoli aveva avuto un effetto esplosivo, mostrando all’Italia un’insopportabile divaricazione tra i valori enunciati e i comportamenti. Anche la Chiesa aveva dato via libera: il segretario si era segretamente incontrato in Laterano con il cardinale Ruini, che appoggiava il suo tentativo ».
Così, alle 15,30 Martinazzoli arriva all’Istituto Sturzo. Lo aspettano Rosa Russo Jervolino, presidente del partito, i capigruppo Gerardo Bianco e Gabriele De Rosa e i venti coordinatori regionali, capitanati da Rosy Bindi che il 27 novembre ha anticipato i tempi fondando il Partito Popolare del Veneto. Ci sono anche un certo numero di notabili democristiani, che hanno deciso di non mancare. Racconta Rocco Buttiglione: «Io avevo una grande speranza, la stessa che Aldo Moro mi aveva confidato vent’anni prima. Lui pensava a una Dc alternativa a se stessa, che nascesse dalle sue radici culturali. Quindi per me, e non solo per me, quel giorno si celebrava un battesimo. Per i vecchi democristiani che stavano attorno a me, quello era piuttosto un funerale. Ricordo che Martinazzoli guardava noi e guardava loro, oscillando tra una posizione e l’altra senza riuscire a impersonare fino in fondo né l’una né l’altra».
Eppure Martinazzoli stacca la spina alla Dc. «Dobbiamo riscattare la nostra decadenza e rivendicare la nostra funzione», dice. «Il nuovo partito vuole essere il custode, fedele e coraggioso», aggiunge, del seme da cui è nata la Dc. E conclude: «Non ricominciamo dal niente, non abbiamo alle spalle un deserto». Poi, alle 16,10, firma per primo il suo appello «a quanti hanno passione civile». Nasce il Partito Popolare.
E’ quello, il momento esatto in cui muore la Dc? Rosy Bindi non è d’accordo. «La vera fine della Dc era avvenuta il 26 luglio del 1993». Quel giorno, sei mesi prima, al palazzo dei Congressi dell’Eur si era conclusa l’assemblea costituente alla quale Martinazzoli aveva invitato, insieme a 250 democristiani, altrettante personalità esterne. E quell’assemblea deciso «di dar vita al nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana e popolare, destinato ad aprire la terza fase della presenza dei cattolici democratici nella storia d’Italia ». Fu in quel momento, sostiene la Bindi, che finì la Democrazia cristiana: «Ricordo ancora l’emozione dell’istante in cui Rosa Jervolino proclamò di fatto la nascita della nuova forza politica. Un clima assai diverso da quello del 18 gennaio, che fu una cerimonia simbolica ma fredda, e con poca gente. Saremo stati in 150, contando anche quelli in piedi. Firmammo l’appello, poi ci fu il convegno e via. Mancava l’emozione dell’assemblea di luglio e l’adrenalina che ci avrebbe dato la rottura con Buttiglione, con cui accettammo la sfida del bipolarismo e scegliemmo di stare con la sinistra. Quella scelta avrebbe fatto nascere davvero il Ppi».
Dunque, secondo Rosy Bindi, nel 1994 lo scudocrociato era già stato sepolto da un pezzo. Secondo Franco Marini, invece, la data della sepoltura non va anticipata ma posticipata. «Il 18 gennaio – racconta – eravamo certi di star facendo la cosa giusta: la Dc era alla fine di un tramonto
tormentato e tragico, nessuno pensava di continuare rifondandola. Il nostro era stato un grande partito, capace di guidare l’Italia nella modernità e nella democrazia, ma la sua stagione era finita. Ed era giusto che finisse. Martinazzoli era molto deciso, e la riconquista di quel nome storico, Partito popolare, doveva dare un nuovo entusiasmo, lanciare quel rinnovamento di cui la Dc non era stata capace. Poi però arrivò la bruciante sconfitta del 27 marzo, dal 29,6 della Dc del 1992 si passò all’11 per cento del Ppi. E lui non resse a quel risultato. Mandò un telegramma da Brescia alla Jervolino e non tornò più a Roma. Fu quello il momento in cui morì davvero, con l’ultimo sogno centrista, la Democrazia cristiana».
Sono passati vent’anni, dunque, e per gli ex democristiani neanche la morte può essere stabilita con assoluta certezza. Ma Casini non ha dubbi: «La fine della Dc avvenne in modo incontrovertibile quel 18 gennaio: l’indomani un atto notarile ufficializzò la fondazione del Ppi, e contemporaneamente nasceva il nostro Ccd. Non so se quel giorno sia nata o no la Seconda Repubblica, ma la Prima è morta certamente quel giorno. Con la Democrazia cristiana».


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