La svolta nell’auto A una donna la missione più dura

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Veterana dell’auto, da 33 anni alla GM, Mary ha sempre evitato per quanto possibile i riflettori. E anche adesso, dimessa, quasi impacciata, questo ingegnere di 52 anni cerca di mantenere un profilo basso mentre presenta il Canyon, una versione aggiornata del piccolo camioncino della GMC. Ma è lei la star, la vera novità del Salone dell’auto che si apre stamani al Cobo Center di Detroit con la giornata dedicata al mondo dell’informazione.
Al timone della GM dal 15 gennaio, da dopodomani la Barra sarà la prima donna al comando di un grande produttore mondiale di auto. Ed è anche il primo ingegnere ad avere un simile incarico da molti anni a questa parte in un settore che è stato salvato dalla bancarotta da manager provenienti da mondi industriali diversi come Sergio Marchionne o Alan Mulally (ex Boeing, oggi alla Ford). Anche il 65enne Dan Akerson, che ora cede lo scettro alla Barra per stare più vicino alla moglie, alle prese con una difficile battaglia contro il cancro, aveva una storia non automobilistica (veniva dal gruppo finanziario Carlyle).
Forse è esagerato sostenere che, con la Barra al comando, un’industria che fin qui è sempre stata molto maschilista, cambierà pelle. Ma la novità c’è e potrebbe avere conseguenze profonde: in un settore industriale nel quale la personalità dei leader conta quanto la qualità dell’acciaio e la potenza dei motori, Mary può essere un fattore di svolta. Lo sostiene lo stesso Akerson: impegnato per anni a scardinare l’inerzia burocratica del gigante di Detroit, adesso dice che quella di una donna è la scelta più innovativa che lui potesse fare per cercare di rendere permanenti i cambiamenti di cultura manageriale che ha portato in GM e scongiurare un ritorno al passato.
Ma c’è anche chi considera l’enfasi sulla Barra uno specchietto per le allodole col quale la General Motors distoglie l’attenzione dalla sua prima battuta d’arresto: a dicembre, dopo anni di forte recupero, c’è stata un’improvvisa flessione delle vendite, solo in parte giustificata dal maltempo. E al Salone il gruppo si presenta senza grosse novità di prodotto.
Oggi la Barra diventa l’immagine-simbolo della rinascita di un’industria che era stata data per spacciata, ma molti ritengono che la spinta al recupero — alimentata dal credito a buon mercato e dal miglioramento dell’economia che ha spinto le famiglie, dopo anni di rinvii, a sostituire veicoli ormai invecchiati — si stia esaurendo. Il 2014 sarà ancora un anno positivo, con produzione e vendite negli Usa che dovrebbero tornare oltre i 16 milioni di vetture: numeri che non si vedevano dall’inizio della crisi, nel 2007. Una situazione molto migliore di quella europea. Ma sul futuro pesano varie incognite: quello dell’auto sta diventando un mercato maturo nel quale i compratori sono soprattutto gli ultracinquantacinquenni, mentre i giovani, la generazione dei «millennials», non ha più il culto dell’auto, né i soldi per comprarne una.
Il rilancio del mercato Usa rispecchia, da questo punto di vista, la ripresa dell’economia americana: un recupero vigoroso, insperato per i più, ottenuto con un impegno di ristrutturazione molto duro. Ma anche un fenomeno che si porta dietro molti fattori di fragilità. Mentre, ad esempio, la Volkswagen ha appena annunciato investimenti per 84 miliardi di euro in 5 anni per il lancio di nuovi modelli, i produttori americani continuano a investire relativamente poco in innovazione. E, anche laddove propongono vetture integralmente nuove, non sempre i risultati sono pari alle aspettative.
Lo straordinario successo della Chrysler di Sergio Marchionne, arrivata al 45esimo mese consecutivo di crescita della produzione e delle vendite, ha comunque i suoi nei: la scommessa di spostare una parte del mercato americano verso auto di dimensioni inferiori e a più basso consumo, sviluppate utilizzando la tecnologia europea, non è stata ancora vinta. La Dodge Dart, basata sul pianale della Giulietta, ha avuto una partenza stentata e anche il successo della Cinquecento, che è riuscita a fare tendenza a New York e in California, non è stato pari alle attese. Chrysler ha invece «sfondato» con le nuove versioni dei suoi tradizionali cavalli di battaglia: Jeep, Suv, i camioncini pick-up della RAM. Per questo è cruciale il lancio, qui a Detroit, della nuova Chrysler 200 basata, come la Dart, su una piattaforma italiana.
Ma oggi al Cobo Center è soprattutto tempo di celebrazioni perché, se è vero che sul futuro pesano molte incognite, non si può ignorare che le «Big Three», date per spacciate cinque anni fa, sono oggi totalmente risanate, redditizie e pienamente restituite al mercato: la Fiat sta infatti rilevando la quota di Chrysler posseduta del fondo sanitario Veba, mentre il Tesoro Usa è appena uscito (con qualche perdita) dal capitale di General Motors. E con un parco auto con un’età media ancora elevata per gli standard Usa (11 anni), per adesso le prospettive di mercato delle industrie di Detroit restano incoraggianti.
Massimo Gaggi


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