“Bulldozer”, il generale ribelle sfidò Arafat e i palestinesi ma sognava l’accordo di pace

by Sergio Segio | 12 Gennaio 2014 9:23

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PER otto anni, da quando era paralizzato e privo di conoscenza in una camera d’ospedale, i familiari hanno fatto ascoltare ad Ariel Sharon brani di musica classica attraverso una cuffia.

E STANDO a quel che raccontano i figli l’ex primo ministro sembrava reagire a quei suoni. Le sue dita vibravano leggermente. La testimonianza, sollecitata dall’affetto più che da considerazioni cliniche, serve a sottolineare come all’uomo chiamato dagli israeliani Bulldozer, per l’irruenza nell’attività militare e politica, sia stata riservata una lunghissima fine. Un’agonia in una immobilità accompagnata dalle note di Beethoven e di Schumann, che (forse) neppure lo raggiungevano nonostante la sentimentale percezione dei congiunti al suo capezzale.
Il corpo da anni inerte in un letto, come già in una bara, e da ieri immerso nella morte totale dopo quella cerebrale, mi riconduce alla pesante figura del generale Sharon nella Beirut assediata del 1982. Appariva all’improvviso con pochi uomini di scorta. A capo scoperto. Emergeva dall’autoblinda o scendeva da una jeep con un’agilità sorprendente, per
nulla imbarazzato dalla cintura larga e dalla curiosità che accendeva la sua presenza. Il piglio del capo era evidente, ma colpiva anche lo sguardo tra il cameratesco e il paterno che rivolgeva ai subalterni.
Nessuna agitazione nei gesti, malgrado gli schianti dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei. Come coloro che conoscono la vera arte del comando, poteva alzare la voce, anzi l’alzava, ma senza toni minacciosi. Intimoriva, esortava e rassicurava coloro che obbedivano. Sapeva trascinarli. La sua prepotenza si manifestava altrove, nell’offensiva contro i palestinesi, ai quali non dava tregua scaricando su di loro tutti i mezzi dell’efficace esercito israeliano.
Mentre la sua spavalderia di soldato investiva anche il governo di Gerusalemme, del quale non teneva conto, infischiandosene dei piani prestabiliti. Non era stato autorizzato a spingere l’operazione libanese contro l’Olp di Arafat fino a Beirut. Ma Sharon umiliò Menahem Begin, il primo ministro, ignorando i suoi ordini. E Begin fu una vittima politica di quella guerra: si dimise poco dopo senza dare spiegazioni, assumendosi forse la responsabilità dell’insubordinazione del suo ministro della Difesa.
Ariel Sharon ricopriva allora quella carica
e di lì a poco fu costretto ad abbandonarla, e ad assumere un ministero di minor rilievo. Ritenuto colpevole, sia pure indiretto, da una commissione di inchiesta israeliana, della strage dei palestinesi del campo di Sabra e Shatila, fu dichiarato non adatto a comandare le forze armate, nella veste di ministro della Difesa. Fu una brutta pagina della vita di Sharon. Il massacro fu compiuto da libanesi, ma lui lasciò fare. Il generale Itzhak Rabin, allora capo del Partito laburista, poi assassinato quando era primo ministro da un fanatico israeliano, tenne un comizio di protesta contro la strage di Sabra e Chatila, a Tel Aviv. Fu la più grande manifestazione alla quale mi è capitato di assistere in Israele. Ed era rivolta anche contro Sharon.
Si diceva allora che egli non rispettasse i semafori rossi. Né militari, né politici. Il generale Moshè Dayan, un laburista,
non lo teneva in grande considerazione. Ne riconosceva il coraggio come soldato, ma non ne approvava il modo di comandare, che aveva provocato in un’occasione la morte di molti suoi subordinati. A vent’anni Sharon aveva dimostrato il valore come combattente durante la guerra del ‘48, il primo conflitto arabo-israeliano. Ma è nel ‘73 che è entrato nella storia militare del suo paese.
In una situazione abbastanza difficile per l’esercito israeliano attraversò il canale di Suez con la sua unità corazzata, sbaragliando l’offensiva egiziana. Fu durante la guerra del Kippur, in seguito alla quale, quattro anni dopo, l’egiziano Sadat fu in grado di compiere lo storico viaggio a Gerusalemme. Per essere poi assassinato al Cairo da un fanatico musulmano. Come Rabin lo fu più tardi in Israele.
L’amore per la pace accorcia la vita in Terra Santa e dintorni. Amos Alon, un grande giornalista e scrittore israeliano, mi ha raccontato che il giovane Sharon chiese di iscriversi al Partito laburista in cambio di una carica che non gli poteva essere concessa. Lo stesso Amos Alon fu testimone di quell’episodio, in seguito al quale Sharon si rivolse al Likud, il partito di destra. Era in vendita. Così è diventato col tempo uno dei leader più intransigenti di Israele. Era considerato un «criminale di guerra» dai palestinesi e un politico avventuroso da molti intellettuali israeliani. Un uomo imprevedibile, spericolato e intraprendente. Amante della guerra ma anche della quiete nella sua fattoria modello doveva faceva l’agricoltore.
Interdetto come ministro della Difesa, dopo un lungo periodo di disgrazia, è diventato primo ministro. Un capo del governo capace di sorprendere, di stupire, così come aveva sorpreso e stupito come capo militare. Ha deciso la costruzione del muro fra i territori palestinesi e Israele, e al tempo stesso ha abbandonato Gaza ai palestinesi. Una concessione territoriale al momento eccezionale, rivelatasi poi insidiosa per l’autorità palestinese, dominata dall’Olp moderata, che ha perduto il controllo di quella provincia, dominata dalla più intransigente Hamas. L’iniziativa di Sharon tendeva forse a dividere gli avversari, ma era accompagnata da una politica tesa a stabilire rapporti distensivi con molti paesi arabi e con gli stessi palestinesi. Da uomo di una destra spesso estrema, che aveva favorito l’insediamento di numerose colonie israeliane in Cisgiordania, è diventato un politico aperto a soluzioni pacifiche. Ha abbandonato il Likud e ha fondato un partito di centro, Kadima per questo è stato accusato di tradimento da alcuni suoi amici. E per non pochi vecchi nemici è apparso invece come un leader capace di favorire una vera intesa. La sua energia sembrava rivolta verso una giusta direzione. Ma il suo cervello ha ceduto. È intervenuta la morte cerebrale. Otto anni dopo diventata morte totale.

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