La lezione di Londra e Parigi e quello che si può fare subito per i giovani disoccupati
Molti governi hanno già presentato alla Commissione i propri Piani di attuazione, indispensabili per accedere al cofinanziamento Ue. Come ha ben spiegato Beppe Severgnini sul «Corriere» di ieri, la sfida del lavoro giovanile (che non c’è) è particolarmente acuta nel nostro Paese. In linea con le direttive Ue, il Piano del governo Letta mira a garantire ai giovani disponibili al lavoro una serie di proposte d’inserimento: se non proprio contratti di assunzione, almeno apprendistati, tirocini, percorsi di formazione, consulenza e fondi per l’avvio d’impresa e così via. Il bacino di potenziali beneficiari è stimato in quasi un milione di giovani, di cui più della metà nelle regioni del Sud. In un documento informale, la Commissione ha giudicato il Piano italiano «in linea di massima adeguato», ma ha anche rimarcato l’assenza di «impegni e quantificazioni precise», in particolare per quanto riguarda le attività delle regioni. Implementation will be key , conclude il documento: tutto dipenderà dall’attuazione nei vari contesti territoriali.
Come (quasi) sempre, la Commissione ha colto il punto. Per le nostre claudicanti amministrazioni regionali e i loro fragili servizi per l’impiego sarà molto difficile mantenere le promesse. Campania e Sicilia dovrebbero «garantire» (espressione molto impegnativa) proposte di inserimento a più di 150.000 giovani entro quattro mesi dalla loro iscrizione al nuovo schema; la Puglia quasi 100.000, la Calabria 50.000. Saggiamente, il Piano cerca di mantenere le redini di tutta l’operazione in capo al ministero del Lavoro, affidando alle regioni il ruolo di gestori delegati. Ma ciò sarà possibile sul piano politico e istituzionale? E, soprattutto, sapranno le amministrazioni regionali svolgere con un minimo di efficienza ed efficacia anche solo le funzioni delegate? Purtroppo, è lecito dubitarne: non per partito preso, ma sulla base dell’esperienza dell’ultimo decennio, che è stata largamente fallimentare proprio laddove il mercato del lavoro funziona peggio.
I dati del primo (sì, primo!) Rapporto di monitoraggio sui servizi per l’impiego, meritoriamente realizzato dal ministro Giovannini, segnalano una situazione di drammatica inettitudine. Nel 2012 la Campania ha «garantito» solo 7.000 giovani disoccupati, la Puglia 8000, la Calabria 4000; solo la Sicilia ha fatto un po’ meglio, con circa 30.000 giovani coinvolti in qualche misura di attivazione lavorativa o professionale.
Certo, tali modesti risultati vanno in parte ascritti alla scarsità di personale (negli altri Paesi i dipendenti dei servizi per l’impiego sono molto più numerosi) e, soprattutto, alle condizioni di strutturale debolezza economica del Mezzogiorno. Come però emerge dalle «buone pratiche» (alcune esistono e andrebbero valorizzate) di alcune regioni, qualche margine per migliorare ci sarebbe. La discrepanza fra le competenze richieste dalle aziende meridionali e quelle possedute dai giovani è fra le più elevate d’Europa: in altre parole, ci sono molte imprese che potrebbero assumere, ma non trovano personale con le qualifiche appropriate. È su questo fronte che andrebbero concentrati i primi sforzi.
Le risorse finanziarie disponibili per la garanzia giovani nel 2014 non sono poche (circa un miliardo e mezzo) e qualche passo in avanti potrà essere fatto, anche al Sud. Considerando i nostri punti di partenza, l’attuale versione del Piano appare però troppo generica e ambiziosa: è auspicabile fissare alcune priorità e obiettivi specifici, come del resto ci ha chiesto la Commissione. La Francia ha scelto di realizzare la garanzia giovani per tappe, iniziando da schemi pilota in alcuni dipartimenti per arrivare «a regime» nel 2016. Non sarebbe più prudente seguire questa strada? O quanto meno condizionare l’accesso ai fondi Ue e nazionali in base all’effettiva performance (anche progettuale) delle Regioni? Si potrebbe inoltre prendere ispirazione da altri elementi della strategia di Parigi, come gli incentivi ai cosiddetti «emplois de l’avenir », i lavori del futuro. Un’altra buona idea è il programma Myplace dell’Inghilterra, che aiuta i giovani ad aiutarsi da soli: fondi, spazi, informazioni e consigli a gruppi di ragazzi e ragazze disposti a cercare e «agganciare», anche tramite attività di servizio civile, chi è totalmente fuori da ogni circuito (gli esclusi fra gli esclusi).
Per il governo Letta la garanzia giovani è una scommessa doverosa, ma anche molto rischiosa. Occorre uno sforzo straordinario di progettazione e gestione, evitando al tempo stesso di promettere ciò che è impossibile realizzare. Inoltre è indispensabile responsabilizzare in modo diretto e trasparente tutti i soggetti da cui dipende l’occupazione giovanile. Che non solo i decisori pubblici e i servizi per l’impiego, ma anche le imprese, i sindacati e l’insieme di quei «corpi intermedi» che in Italia criticano continuamente la politica ma spesso le chiedono molto più di quanto danno.
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